Sala Ipogea gremita per la presentazione del libro sui militari italiani nei lager nazisti. Le lettere di Alberto Pepe principali fonti del volume di Mario Avagliano
di Marcello Maranella
Significativa testimonianza questa mattina presso la Sala Ipogea con la presentazione del libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri "I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945)" promosso dall'Assessorato alla cultura del comune di Teramo in cui sono intervenuti il sindaco Gianguido D'Alberto, la Dirigente scolastica I.I.S. Delfico Montauti, Loredana Giampaolo, l'assessore Andrea Core, il Presidente del consiglio comunale, nonchè nopote di Alberto Pepe, Alberto Melarangelo. L'iniziativa partecipata da un folto pubblico attento, è stata conclusa dall'autore Mario Avagliano, mentre il giornalista ed esperto di tali problematiche, Walter De Berardinis, ha assicurato il buon andamento del dibattito inframezzato da brani del volume letti dall'attore Roberto Di Donato.
Il libro racconta la storia degli IMI (internati militari italiani) dei circa 650mila soldati che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, furono catturati e deportati dai tedeschi. L’offerta di aderire alle SS o alla repubblica di Salò ed essere rimpatriati fu accettata solo da una piccola parte; tutti gli altri scelsero di rimanere prigionieri nei lager come inequivocabile gesto di resistenza. Grazie a una ricchissima mole di diari, lettere e testimonianze dirette, edite e ancor più inedite, il libro spazia a tutto campo: dalla cattura alla liberazione e al ritorno. Emergono così anche aspetti poco noti della violenza nei lager, nei campi di lavoro coatto e di punizione, del loro bagaglio di ideali e di umanità, del rapporto con la popolazione civile e con le donne.

Alberto Pepe, tuo nonno, era uno di loro. Quale emozione provi nel ricordarne il sacrificio e la coerenza?
"Le lettere di Alberto Pepe sono le principali fonti del libro di Avagliano. Da queste lettere si conoscono le condizioni di vita disumane a cui venivano sottoposti i prigionieri ma rivelano sensibilità e coraggio con cui hanno affrontato torture e martirio fino alla morte. Quindi è un motivo di orgoglio per la famiglia ma, soprattutto, per noi teramani".
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