LE VIRTU' DI TERAMO e le minestre riscaldate



ph. ma ma
Ci mancava anche la trasmissione "GUSTO" della rete televisiva Mediaset a dare il colpo di grazia al piatto per eccellenza della gastronomia teramana con una versione falsificata e nociva per l'immagine non solo delle Virtù ma per la città che ne rappresenta il marchio d'origine. L'assessore al commercio del comune di Teramo, Antonio Filipponi, ha subito protestato e i curatori del programma si sono scusati dichiarando di provvedere immediatamente ad una rettifica. Non è la prima volta e non sarà nemmeno l'ultima se tutti insieme non ne salvaguardiamo la primogenitura. Accadde anche due anni fa con un'astiosa polemica fra un ristoratore teramano intollerante verso una sua collega aquilana la quale, nella TV della RAI, aveva improvvisato un piatto di nome virtù al di fuori  dell'apposito disciplinare depositato presso la Camera di Commercio di Teramo.
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Che poi nella realtà non importa a nessuno di quel documento se ogni anno, nel primo di maggio, sulla costa teramana impazzano senza alcun controllo variazioni sul tema attraendo frotte di turisti ignari di quali virtù vadano effettivamente gustando.  Una concorrenza sleale per l'immagine e l'economia del territorio d'appartenenza, soprattutto, offensivo nei confronti di gran parte dei nuclei familiari del capoluogo che ogni anno  rinnovano il complesso rito preparatorio di un piatto tanto gustoso e rinomato quanto delicato nell'assemblaggio degli ingredienti prescelti accuratamente. Non a caso le cuoche e i rigorosi ristoratori teramani iniziano per tempo la preparazione separata degli aromi, dei legumi, delle spezie che proprio nella coltivazione degli orti lungo i fiumi che circondano la città trovano il  loro marchio d'origine.
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Ne è testimonianza eloquente il bel video (La città nel Piatto - Le Virtù, ormai fra i reperti del come eravamo) realizzato anni fa dal regista teramano Marco Chiarini su commissione della condotta pretuziana di Slow Food  che per fortuna rendeva giustizia agli ortolani del Tordino, ai rivenditori ortofrutticoli, ai cultori della gastronomia aprutina per la sapienza e la tenacia nell' aver espresso ante litteram un sistema economico equilibrato fra produzione e consumo di fresche primizie di stagione.  Un mondo magico decantato da sagaci buongustai e raffinati narratori come Fernando Aurini (Cucina teramana), Rino Faranda (Gastronomia teramana), Elio Pompa maestro della ristorazione teramana, Luigi Braccilli (Le virtù e Abruzzo in cucina), Rosita Di Antonio (Raccolta di ricette tradizionali  teramane).
Tanti attestati inconfutabili  che però non trovano degna attenzione in una società digitale frettolosa e approssimativa. Ma è altrettanto vero che Teramo nelle sue espressioni amministrative via via susseguitesi negli ultimi decenni non ha mai riservato risorse e programmi di investimento culturale e enogastronomico nella scala dei valori dell'alta ristorazione e della ricettività turistica.
Carlo Petrini, il grande ispiratore di Terra Madre e di Slow Food,  ha esaltato le nostre VIRTÙ di Teramo nel suo concetto di cibo "buono pulito e giusto". Scriveva entusiasticamente sulle pagine di Repubblica:
"Già il nome è una meraviglia: le virtù". Se raccontiamo cosa sono però acquisterà ancor più poesia, significato, bellezza"

Ma ancor prima nelle sue numerose "facezie" stampate nel 1478 l'umanista Poggio Bracciolini annotava nella numero 206...agli inizi di maggio in Roma si raccolgono diverse specie di legumi dette Virtù -quae Virtutes appellant nel testo latino- le si cuociono per mangiarle al mattino...

Insomma predisporsi dinanzi a un buon piatto di virtù significa immergersi dentro stimoli sensoriali del mondo agricolo che nel mese di maggio ricompongono il senso di una teramanità gioiosa e inclusiva nella sua fisionomia urbana per diventare un vero e proprio presidio del buongusto, lento e conviviale, con un'offerta comunicativa di eventi collaterali attraente e lungimirante. Porsi come sostenitori di un'idea di città che punti su un'economia della bellezza del paesaggio e del buon ristoro. I privati danno il meglio della loro esperienza culinaria, la pubblica amministrazione predispone il marketing territoriale. Tutto il resto sono chiacchiere da osteria che non importano nulla al turista occasionale, già svogliato a venire dalle nostre parti dal tam tam martellante della chiusura del traforo e l'acqua del Gran Sasso da mettere in sicurezza.
Di questo passo anche le tanto decantate virtù rischiano di restare confinate nel circuito delle sagre paesane come una normalissima ricetta di cucina, al pari di un minestrone.  Sarebbe una perdita secca di valori antropologici, sociali  e culturali di una comunità in affannosa ricerca della propria identità.


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