GENTE DI TERAMO Simone Gambacorta si racconta a tutto campo: dalle passioni letterarie al mestiere di giornalista e critico "militante"
AltreNote
di Marcello Maranella
A definirlo critico militante è stato un grande intellettuale italiano, il poeta e scrittore Renato Minore. Intendendo con il termine militante l'impegno dello studioso Simone Gambacorta a partecipare attivamente alla vita culturale del suo tempo con indubbia competenza e profondo spirito critico.
"Ho iniziato a scrivere recensioni di libri nel 2001" precisa Simone sorridendo mentre ci accomodiamo sotto il fresco dehor di Des artistes, in Piazza Martiri, per entrare nel vivo dell'intervista.
"Allora
collaboravo con Piazza Grande, un mensile free press. Scrivevo anche su
un altro free press, Edit2000, poi pian piano vennero le altre
esperienze, tra cui la collaborazione di diversi anni con L'araldo
abruzzese, sempre per i libri, poi La Città. In questi 25 anni il mondo
dell'informazione, a Teramo come nel mondo, ha cambiato pelle in modo
incredibile. Al tempo il web era ancora molto - per così dire -
primitivo, i social sarebbero arrivati dopo. Un altro mondo".
Una vita ben spesa, mi pare di capire, costellata di meritati riconoscimenti. C'è qualcuno o un evento a cui ti senti particolarmente legato?
Sopratutto a degli amici che mi hanno dato spazio
e fiducia e che non ci sono più. Penso a Giuseppe Lisciani. Sono stato
suo collaboratore e ho frequentato la sua azienda. Lo ricordo con grande
affetto. Non credo che Teramo l'abbia compreso fino in fondo. Il suo
"Pedagogia della contestazione" è più attuale oggi di ieri. Poi Antonio
Tancredi, che come presidente dell'allora Banca di Teramo mise in campo
una intensissima attività culturale e mi chiamò a collaborare con lui.
Sono stati quattro anni indimenticabili, dal 2008 al 2012. Un altro nome
che vorrei ricordare è quello del critico d'arte Nerio Rosa. Mi chiamò
come redattore per il calendario di quella che al tempo era la Banca
Tercas, "Pescara e le memorie di D'Annunzio", con foto di Mimmo Jodice e
testi di Gianni Oliva. Era il 2003. Lavorammo tanto, fu una grande
scuola. La parola "calendario" non inganni: erano opere monografiche "in
forma" di calendario, ma di fatto erano dei libri. Rosa era il
direttore artistico dei calendari Tercas. Con tutti e tre ho avuto un
rapporto profondo e duraturo.
L'esperienza di redattore del quotidiano "La Città" quanto ha contato nella tua formazione giornalistica?
Gli otto anni al quotidiano La Città sono stati per me un'esperienza fondamentale. Ero il responsabile delle pagine di cultura e sono stato messo nelle condizioni di lavorare in totale autonomia. Quello che ho cercato di fare in quegli anni - tra l'estate 2012 e l'autunno 2020 - è stato bilanciare argomenti e notizie del territorio con tematiche di più ampio respiro. Questo per evitare quel ripiegamento localistico che scade in una visione provinciale e autoreferenziale e nella quale tutto è uguale a tutto. Impaginare un giornale vuol dire prima di tutto selezionare e gerarchizzare le cose.
Dopo la chiusura del quotidiano teramano sei approdato in televisione. Rimpianti?
Nessun rimpianto. La televisione mi piace tantissimo. Su Super J, nel programma che conduco con Rino Orsatti, abbiamo realizzato dal 2021 poco meno di duecento puntate. Sono tante. Ora stiamo per partire con la nuova stagione. Andare in onda una volta a settimana per parlare di libri e cultura è una grandissima sfida ed è anche un bellissimo impegno, ma si impara molto. Il nostro non vuole essere un programma ingessato, non vogliamo prenderci sul serio, cerchiamo di realizzare un piccolo show di libri e di fare buona divulgazione. Ci divertiamo molto. Rino è un amico e ha tanta esperienza, devo a lui l'approdo in tv. Credo fosse il 2007, quando mi chiamò nell'allora Teleponte per parlare di libri. Mi pare che facemmo, allora, cinque o sei stagioni, anche lì con cadenza settimanale. Il sistema dell'informazione locale negli ultimi anni è cambiato tantissimo ed è cambiato più di una volta. Su Super J andiamo in onda una volta a settimana per 40 minuti e credo che sia veramente un piccolo miracolo che una emittente locale dia così tanto spazio ai libri e alla cultura. Di questo sono e siamo grati alla televisione. Faccio presente che in questo momento storico non
semplice, tanto la televisione quanto il calcio passano, a Teramo, per
la persona dell'editore Filippo Di Antonio: credo che di questo gli vada
dato atto. Non è scontato che avvenga. Mi si dirà: "grazie, dici così
perché collabori con Super J". Esatto: dico così proprio perché
collaboro con la tv e so di cosa parlo.
Giornalista a tempo pieno immerso anche fra le problematiche della categoria in veste di vicepresidente dell'Ordine dei Giornalisti d'Abruzzo. Come ti sei trovato in quel ruolo?
Sono stato vicepresidente dell'Ordine regionale per tre anni e mezzo. Quando Stefano Pallotta, che ringrazio, mi propose la candidatura, ero riluttante, poi mi convinse. È stata un'esperienza impegnativa e molto formativa, sia in senso istituzionale che in senso tecnico. Ma siccome sono uno che ha sempre bisogno di nuovi stimoli, dopo i primi due anni comunicai all'allora presidente Pallotta che, alla scadenza naturale del mandato, avrei preferito non rinnovare la mia candidatura per una seconda consiliatura. Così è stato. Con lui ho un ottimo rapporto e lo ringrazio per avermi spronato ad accettare la sfida. Essere vicepresidente, fra l'altro, mi ha permesso di ascoltare praticamente ogni giorno i colleghi e, inoltre, di ideare e realizzare numerosi corsi di aggiornamento: nella mia ottica dovevano
essere delle proposte culturali con un valore formativo, ma non
necessariamente circoscritte all'ambito strettamente giornalistico.
Questo è stato quello che abbiamo fatto, mi pare con esiti
soddisfacenti.
Eppure non mancano le difficoltà per giovani aspiranti giornalisti che desiderano affermarsi. Pensi sempre che il nostro sia il mestiere più bello del mondo?
Non credo lo sia. Oggi il giornalismo è in profonda trasformazione, dico proprio in senso storico, e la nozione stessa di giornalista credo vada ripensata profondamente e aperta a nuove possibilità di significato. C'è da fare un enorme upgrade culturale e
normativo e la speranza è che si riesca a farlo, anche in chiave
istituzionale. Non sono particolarmente ottimista, stando a quello che vedo. In ogni caso, credo che oggi sia più sensato parlare di operatori dell'informazione, perché il mondo è cambiato e quello che poteva andar bene anche solo tre anni fa oggi rischia di essere obsoleto. Non è assolutamente un discorso disfattista: compro quotidianamente i giornali, mi piace la carta, mi piace l'informazione di qualità e approfondita, ma questo non significa che le nuove tecnologie e la stessa intelligenza artificiale debbano essere da noi guardate con timore o con sospetto. Carlo De Benedetti ha detto che non bisogna mai rifiutare l'innovazione: ha perfettamente ragione.
I premi giornalistici però proliferano. Per tre anni hai diretto a Fano Adriano il Premio Giuseppe Zilli.
Sono felice che il Premio giornalistico Giuseppe Zilli proceda bene. Vuol dire che il lavoro fatto nelle prime tre edizioni è stato utile. Spero che il Premio cresca sempre più e sempre meglio. Quando fui chiamato come direttore, il Premio non esisteva: lo abbiamo letteralmente inventato. Poche soddisfazioni sanno dare appagamento come il constatare che una struttura che abbiamo contribuito a creare continui a crescere e ad andare avanti con successo. Il mio incarico era triennale e credo che, per
alcuni ruoli, tre anni siano un tempo più che sufficiente, altrimenti
poi ci si incaglia in una replica sempre più stanca. A Fano Adriano c'è un ottimo gruppo di lavoro, composto da tante persone competenti, capaci e appassionate, cui sono legato da affetto.
Ora parliamo del Premio Teramo. Dopo aver svolto un ruolo di primo piano dal punto di vista gestionale e organizzativo nei tempi andati, come vedi il suo futuro?
Con il Premio Teramo ho un rapporto iniziato credo nel 2006. Ne sono
stato giurato, per due edizioni segretario, infine presidente di giuria.
In passato, quello che adesso si chiama direttore artistico veniva
chiamato segretario. Come segretario, ho redatto e fatto approvare dalla
Giunta Comunale il regolamento del Premio, che non c'era mai stato,
mancava dal 1959, l'anno della prima edizione, quando invece un bando dovrebbe essere emanato sulla base di una carta regolamentare. Questo creava problemi
perché le carte regolamentari diventavano di fatto i bandi di ogni
edizione. Il Premio Teramo è del Comune e la carenza di una carta
regolamentare era, dal punto di vista tecnico-amministrativo, e quindi
anche giuridico, una lacuna che andava assolutamente colmata. Le politiche culturali di un'amministrazione comunale dovrebbero
basarsi su selezione e progettualità. Bisogna supportare le realtà
esistenti e renderle un volano capace di generare crescita. Se non si fa
selezione, tutto si appiattisce.
In tal senso la scelta dell'amministrazione comunale di indicare Silvio Araclio direttore artistico produrrà effetti significativi?
Il nome di Silvio Araclio come nuovo direttore artistico, cioè come nuovo responsabile del Premio Teramo, è una bellissima notizia e non può che lasciare tutti pienamente soddisfatti. Personalmente la vedo come una straordinaria opportunità di crescita. Oltre ad essere amico di Silvio e a esserne collaboratore, lo considero uno dei principali punti di riferimento culturali per quanto riguarda la nostra città. Tra coloro che hanno operato continuativamente a Teramo con ruoli precisi e riconoscibili, lui e Luigi Ponziani sono a mio avviso le coscienze culturali maggiori. Ripeto, mi riferisco a coloro che hanno operato stabilmente a Teramo, come a suo tempo fece il compianto Giammario Sgattoni, altrimenti i nomi da citare sarebbero molti di più: da Gianni Gaspari, che per me, oltre che un riferimento umano e affettivo, è evidentemente anche un riferimento culturale, a Pietro Montani, grandissimo studioso. Sono molto felice di avere avuto la possibilità, anni fa, di curare il libro di Ponziani "Intervista su Teramo", che è una diagnosi acuta e degna di uno storico della sua portata.
Hai una stretta collaborazione con Fabrizio Sclocchini...
Ed
è una delle mie fortune e delle mie maggiori gioie. Fabrizio Sclocchini
è un poeta che fa semiotica del presente attraverso la fotografia. Ha
una cultura enorme, dalla poesia alla filosofia, dalla musica al cinema.
Gli devo, fra le altre cose, la scoperta di Franco Loi, Gianni D'Elia,
Roberto Roversi e Giuliano Scabia: senza di lui e i suoi rapporti
diretti, a Teramo non avremmo mai parlato in modo approfondito di questi
poeti. Da un anno curiamo insieme la collezione di plaquette di poesia e
fotografia "fuorimercato", opuscoli non venali con cui portiamo avanti
una nostra riflessione critica sulla poesia contemporanea, con nomi come
Tommaso Ottonieri, lo stesso D'Elia e Mariano Bàino. Questo progetto è
stato reso possibile dalla sensibilità di un altro caro amico, Gabriele
Cargini.
Come vivi in qualità di giurato la partecipazione ai vari Premi letterari?
Far parte delle giurie, come per il Premio Flaiano o il
Premio Camaiore, è una grande palestra. Ti porta a confrontarti con i
testi, a valutare il tuo gusto e a renderlo un argomento sostenibile nei
confronti con gli altri giurati. A proposito del
Flaiano, un nome a cui dobbiamo tutti tanto è quello di Edoardo Tiboni.
Il suo impegno è stato gigantesco e ha veramente cambiato l'Abruzzo.
L'ho conosciuto nel 2010, ne ho un bellissimo ricordo. Vorrei anche
ricordare - se posso - la direzione del Festival letterario
Lib[e]ri, tra il 2006 e il 2008, che è stata per me un'altra bellissima
esperienza. Le tre edizioni, realizzate con gli amici di Empatia nei
Giardini "Pannella" della Provincia, hanno visto arrivare in città nomi
come Erri De Luca, Marco Lodoli, Walter Siti, Emanuele Trevi, Remo
Rapino, Massimo Zamboni, Rocco Brindisi, Renzo Paris. Abbiamo fatto un
grande lavoro.
E delle opere dei tuoi scrittori preferiti come Mario Pomilio e Gian Luigi Piccioli si prevedono altre riletture?
Gli scrittori non vanno visti come "campioni" da tifare, ma in modo laico. Bisogna mettere in luce quel che hanno da dirci sul nostro oggi. Sono contento, per esempio, che ora ci sia più consapevolezza su una figura enorme come Mario Pomilio. Ricordo che, quando cominciai a occuparmene, più o meno nel 2005, l'interesse attorno alla sua opera era decisamente più modico rispetto a oggi. Era un grande dimenticato. Un altro scrittore a mio avviso importante, del quale sono stato amico, è stato Gian Luigi Piccioli, il quale purtroppo è mancato anni fa. Ho curato le nuove edizioni di due dei suoi romanzi, "Tempo grande" e "Cuore di legno": sono tuttora di grande attualità, l'uno parla dei media, l'altro di ambiente". Sia con la famiglia Pomilio che con la famiglia
Piccioli sono legato da amicizia: è bello che da un interesse letterario
nascano poi rapporti affettivi.
Anche con il mondo associativo condividi rapporti di collaborazione.
Sì, in particolare con
Confassociazioni Abruzzo, un aggregatore di sensibilità e competenze
attraverso cui condividere esperienze e progetti. Ne è presidente
Claudio Boffa, cui sono legatissimo, e si tratta del branch territoriale
di Confassociazioni, guidata a livello centrale da Angelo Deiana. Anche
come Confassociazioni Abruzzo abbiamo realizzato diverse cose
importanti. È una struttura volutamente leggera e smart che nasce per
fare rete e essere un osservatorio sulla nostra realtà. È un mondo molto
interessante, che ti mette a contatto con molte opportunità e che
soprattutto ti permette di ampliare il tuo punto di vista sulle cose,
specialmente per quanto riguarda il rapporto con la dimensione
imprenditoriale e con quella istituzionale. Ma al mio amico Claudio
Boffa, che è un manager di successo e un uomo di grande visione, debbo anche, fra le molte altre cose, la
scoperta del sociale, settore che mi interessa moltissimo e nel quale
lavoro con l'AIL Teramo, ossia la sezione provinciale dell'Associazione
contro le leucemie, i linfomi e il mieloma. Lui ne è il presidente
onorario. Il terzo settore è un universo da scoprire. Penso che il
sociale sia un ambito estremamente importante e con il passare del tempo
richiederà sempre più professionalizzazione e competenza, perché sarà
sempre più necessario fornire risposte concrete a esigenze direttamente
connesse con la vita quotidiana delle persone.
Il Premio di Fotografia Cinematografica "Di Venanzo" ti vede impegnato letterariamente?
Il Premio Gianni Di Venanzo per la fotografia cinematografica, che quest'anno celebra la sua trentesima edizione, è una importante realtà culturale e dobbiamo darne merito al patron Piero Chiarini e al direttore artistico Sandro Melarangelo. Con il Di Venanzo, con cui collaboro, siamo riusciti a fare, per quanto riguarda la letteratura, delle cose molto belle. Penso per esempio al rapporto, che abbiamo valorizzato, tra Gianni Di Venanzo e il grande Luigi Malerba, scrittore tra i maggiori della letteratura italiana del secondo Novecento. Malerba fu anche sceneggiatore e regista, e nel suo film "Donne e soldati" ebbe Di Venanzo come direttore della fotografia. Me ne accorsi per caso. Grazie alla carissima Anna Malerba, che conosco da tanti anni, e al sempre attento Piero Chiarini, siamo riusciti a proiettare a Teramo "Donne e soldati" e a presentare negli anni diversi libri di Malerba, che purtroppo è scomparso nel 2008. Questo tipo di proposte contenutistiche rientrano in quel discorso sul non provincialismo di cui parlavo prima, discorso che non si traduce nel trascurare il territorio, ma che, al contrario, porta a leggerlo e pensarlo in un'ottica aperta.
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BIO
Simone Gambacorta (1978) è il responsabile della comunicazione dell’AIL Teramo e cura una trasmissione tv sui libri per Super J. Scrive recensioni per il magazine online Lingua italiana-Treccani.it e per L’immaginazione. Ha collaborato con L’indice e L’illuminista e ha curato le pagine culturali del quotidiano teramano La Città (2012-20). È stato vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo (2021-25) e ha fatto parte del Comitato per il centenario della nascita di Michele Prisco (Mibact, 2019-22). Giurato del Premio Flaiano per la narrativa, del Premio Camaiore-Belluomini, del Premio Bonanni, del Premio Moretti e del Premio Civitaquana, è stato segretario del Premio Teramo per un racconto inedito (2011-13) e ne ha presieduta la giuria (2021-22). Ha diretto il Premio Giuseppe Zilli per il giornalismo (2021-24) e il Festival letterario Lib[e]ri (2006-08). È nel direttivo di Confassociazioni Abruzzo e cura con Fabrizio Sclocchini la collezione non venale di plaquette di poesia e fotografia "fuorimercato".
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