La versione culinaria di Rino Faranda
L'accademico della Cucina Italiana Claudio D'Archivio fa un ampio giro d'orizzonte con tre T. Tradizione come radici e identità della nostra esistenza. Territorio inteso come luoghi autoctoni, originali. Tecnica per esaltare l'arte della cucina nella trasformazione della materia prima. Ricorda l'opera delle cuoche che preparavano i lauti pranzi di nozze e gli itinerari di Faranda che girava nella provincia teramana e annotava ricette, aneddoti e leggende. Dice che ai ristoranti stellati preferisce il sapore e gli odori della cucina di campagna...vuoi mettere i cuochi nostrani!! E via con i ricordi e le lezioni sul campo del rigoroso Professore.
Era siciliano Rino Faranda ma conquistò a pieno titolo la cittadinanza aprutina, tanto agognata quanto meritata. Il professore Edoardo Cipriani ne canta lodi e pregiudizi, vissuti e goduti in latino nelle aule del liceo classico. Un condensato di elogi ed emozioni reinterpretate dall'antropologa Alessandra Gasbarroni con note succulenti e pertinenti intorno al dotto itinerante narratore. A coordinare l'incontro promosso dall'Accademia Italiana della Cucina un gioioso Sandro Galantini.
Perciò Faranda diviene mito celebrato come a pochi mortali viene riservato. Altrimenti Ricerche e Redazioni non avrebbe editato. Insomma l'altra sera la Sala Polifunzionale di via Comi a Teramo traboccava di ricette di Faranda per fedeli estimatori del suo mondo ormai lontano, eppure, sul filo della memoria, degnamente ricordato.
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