Devo dire che quest’anno la celebrazione per la consegna del
Premio Teramo è stata caratterizzata da atmosfere coinvolgenti e del tutto
inusuali. Innanzitutto, mi è parsa azzeccata la scelta del luogo, largo San Matteo, tanto denigrato nel recente passato per il suo dirompente stile innovatore rispetto all'austerità architettonica dei palazzi circostanti della Prefettura, dell’ex Provveditorato agli studi e dell’Inps attorno ai quali si concentravano parcheggi abusivi e scarichi permanenti. Inoltre, quell'ampia e comoda platea all'aperto sotto quella pensilina in acciaio riflettente forniva l’immagine di una moderna Agorà in cui lo spazio urbano riprende vigore e dona ad un tempo serenità del vivere sociale ai suoi legittimi fruitori. Se avesse piovuto, così come preannunciato da lampi e tuoni qualche attimo prima dell’inizio dell’incontro sarebbe stato, in ogni caso, un riparo rassicurante senza compromettere lo svolgimento dell'importante evento culturale. Pertanto, alle 18.30 in punto di mercoledì 3 luglio 2019 il Sindaco
Gianguido D’Alberto
ha salutato l’ospite premiato
Antonio Debenedetti per una raccolta di racconti
edita intitolata “
Quel giorno quell'anno” con due racconti che svelano nella
semplicità del quotidiano la profondità della tragedia degli ebrei travolti
dalle leggi razziali. Come scrive l’autore: “Le umiliazioni imposte dal Regime
fascista e dal razzismo che oggi osa rialzare la testa sono (credo di averlo
capito a ottant'anni) una nota ricorrente e segreta in tutta la mia opera. Lo
sono certamente in questi due racconti “E fu settembre” e “L’inquilino
misterioso”. Su questa linea d’orizzonte culturale si è sviluppato il compito
del moderatore
Nicola Catenaro nel porre domande allo scrittore e critico
letterario ma, soprattutto, al giornalista del Corriere della sera sin dal
1963, Antonio Debenedetti, figlio di
Giacomo Debenedetti – giurato storico del
Premio Teramo, al quale è dedicato il Premio per un autore giovane sotto i
trentacinque anni. E’ stato un gradevole fluire di domande e risposte semplici,
lineari e persuasive che hanno ridato smalto ad una manifestazione che va
ulteriormente resa attraente per giovani generazioni di scrittori in grado di
stimolare attenzione e interessi nel mondo variegato dell’editoria italiana.
Almeno così mi è sembrato di capire dai contenuti dell’intervento di saluto
dell’assessore alla cultura del comune di Teramo,
Luigi Ponziani, quando ha
sottolineato lo sforzo da compiere per uscire dagli schemi di una cultura
parruccona d’altri tempi e tuttavia ancora predominante. L’auspicio, naturalmente, è che il tutto non rimanga a lungo custodito
nelle buone intenzioni dell’amministrazione comunale quale gestore
dell’iniziativa e che trovi nella Fondazione Tercas e nella segreteria del
Premio Teramo due convinti alleati. Se non altro per rendere dinamico e
sorprendente lo slogan della manifestazione…
aspettando il premio Teramo…



Questa la motivazione del Premio che Renato Minore, critico letterario e componente della giuria del Premio Teramo ha espresso: " Leggendo i suoi racconti Federico Fellini si disse divertito e sedotto. Alberto Moravia li paragonò a una musica che quando finisce si rimpiange che non continui. Antonio Debenedetti è ormai tra i maestri italiani di un genere difficile e luminoso: il racconto, la short-story. Scelto, ha spiegato Raffaele Manica, per metterci sotto gli occhi tutte le nostre sgradevolezze trattandole come un chirurgo che rinuncia all'anestesia, operando a crudo perché c'è un'emergenza. Un'ulteriore conferma arriva dal suo "Quel giorno quell'anno". Il rapporto con l'eredità ebraica trasmessagli dal padre Giacomo, il grande letterato e critico che fu anche tra i giurati insigni dei primi anni del Teramo, si traduce nel ricordo delle persecuzioni fasciste, la cui drammaticità è risolta da Antonio con mirabili tocchi lievi e personaggi che non dimenticano nei due racconti che danno forma e organica struttura a questo piccolo grande libro scelto dai lettori di Teramo. Nel primo racconto -L'inquilino misterioso- l'ebreo Enrichetto e la signorina Clotilde, la "donnetta di chiesa", zitella, presso cui ha preso alloggio, trovano una forma affettuosa di comunicazione basata su un'inconsapevole solidarietà, sottraendosi per poco alla follia delle leggi razziali. Come ha giustamente scritto Paolo Di Paolo, Antonio Debenedetti racconta la ferocia della Storia dal piccolo cuore di un signor nessuno privato anche della possibilità di restare quel signor nessuno. Nell'introduzione lo scrittore parla della profonda ferita nel suo orgoglio di figlio: "Questa ferita riguarda l'umiliazione impressa dalle leggi razziali a mio padre , l'ebreo Giacomo Debenedetti, l'autore di 16 ottobre 1943, il memorabile racconto sulla retata nazista al Ghetto di Roma. Con un'accorta regia stilistica, che trova nel racconto breve l'esecuzione più idonea con il passo rapido e sincopato di una narrazione davvero essenziale, Antonio Debenedetti dà corpo a inquietudini, paure, solidarietà, complicità, debolezze affondando la lama in quella ferita originaria con la sua voce di scrittore tormentato e chirurgico".
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