La
Pinacoteca Civica di Teramo, dopo la riapertura nel 2018 e la
successiva pubblicazione della relativa guida nel 2021, con questa
mostra
La fragile bellezza Istoriato castellano fra XVII e XVIII secolo,
prima iniziativa espositiva allestita negli ambienti rinnovati, intende
proseguire nell’opera di valorizzazione del patrimonio storico
artistico cittadino, presentando al pubblico un significativo nucleo di
maioliche castellane sei e settecentesche rimaste per lunghi decenni
confinate nei depositi del museo civico.
“Ospitando
la mostra "La Fragile Bellezza" confermiamo il netto e deciso rilancio
della valorizzazione degli spazi culturali, e soprattutto della proposta
culturale, della nostra città, che si caratterizza sempre più per
essere il riferimento dell'intera provincia.” – dichiara il Sindaco di Teramo Gianguido D'Alberto – “Puntando
sulla bellezza valorizziamo l'identità del capoluogo e delle risorse
straordinarie delle aree interne, che oggi più che mai devono essere
protagoniste di un momento di necessario rilancio in una ricostruzione
che non sia solo fisica, ma anche sociale e culturale”.
"Per
il Comune di Teramo la mostra “La Fragile Bellezza“ rappresenta un
altro importante tassello nella valorizzazione del patrimonio storico
artistico cittadino, che ha ripreso slancio con il riallestimento della
Pinacoteca nel 2018.” - afferma l’Assessore alla Cultura Andrea Core – “In
particolare la maiolica castellana rappresenta un fiore all’occhiello
del nostro territorio e la sinergia che si è creata con la collezione
privata dell’ing. Giuseppe Matricardi, testimonia una felice e riuscita
integrazione tra pubblico e privato, resa possibile anche grazie al
contributo del professore Stefano Papetti".
Sono esposte le “fragili bellezze” uscite dai laboratori ceramici di Castelli in provincia di Teramo,
che si sono imposti sulla scena internazionale grazie alla
realizzazione di manufatti ceramici caratterizzati da soluzioni
sperimentali ardite e dalla rielaborazione di immagini ricavate dalla
pittura contemporanea, come i pezzi in mostra che si segnalano,
nell’ambito della produzione italiana sei e settecentesca, per la
qualità degli smalti ravvivati dall’applicazione dell’oro, per la
accuratezza della resa pittorica e per la adesione ai repertori
figurativi più aggiornati del tempo.
Si tratta di un insieme abbastanza omogeneo per epoca e per qualità che racconta per lo più lo stile e l’espressione artistica della più influente famiglia di maiolicari abruzzesi Grue
e che comprende una targa devozionale raffigurante Sant’Antonio da
Padova ascrivibile a Liborio Grue, una Sacra Famiglia di ispirazione
cortonesca attribuibile a Candeloro Cappelletti ed una serie di piatti
con paesaggi arcadici nello stile di Nicola Grue il Giovane,
appartenente ad un ramo collaterale della famiglia.
Inoltre,
al fine di contestualizzare meglio l’importanza e la notorietà
internazionale acquisita nei primi decenni del XVIII secolo dai
manufatti realizzati a Castelli, la mostra si avvale del contributo
di alcune opere provenienti dalla collezione Matricardi di Ascoli
Piceno, giudicata recentemente da Timothy Wilson come la più importante
raccolta di maiolica castellana, presentata a Teramo nel 2012
in occasione di una esposizione fondamentale per lo sviluppo degli studi
sull’attività dei ceramisti abruzzesi.
Alle
opere di proprietà comunale saranno così affiancati piatti e vasi
realizzati da Carlo Antonio Grue, la cui figura ha assunto grazie agli
studi di Fernando Filipponi una straordinaria rilevanza nell’ambito
delle attività artistiche promosse dal pontefice Clemente XI e dei figli
Aurelio Anselmo e Liborio, con l’intento di affrancare da una
condizione di fenomeno locale quanto realizzato dai Grue, la cui
produzione, grazie ai legami familiari con i Duchi d’Acquaviva e con gli
Albani, si colloca invece in un contesto aperto alle più aggiornate
istanze della cultura europea di matrice classicista ed arcadica che
hanno consentito alle opere uscite dalle loro officine di essere contese
dai più illuminati collezionisti del XVIII secolo.
In mostra questa vocazione a fare della maiolica un prodotto artistico di prima qualità è ben dimostrata da una serie di preziosi manufatti destinati ad importanti personalità dello scenario politico e culturale internazionale:
è il caso dei quattro piatti con paesaggi arcadici che introducono
episodi vetero e neo testamentari collocati sullo sfondo dipinti da
Francesco Antonio Saverio Grue e racchiusi, al pari dei dipinti su tela,
entro delle raffinate cornici settecentesche in legno intagliato e
dorato che ne dichiarano la provenienza dalle collezioni reali sabaude,
appartennero infatti ad un sofisticato estimatore dell’arte rococò come
Umberto II. Anche la serie di mirabili piattini dipinti con scene
pastorali attribuiti ad Aurelio Anselmo ed al fratello Liborio Grue che
recano l’arme della famiglia Testa- Piccolomini o i grandi piatti con
l’insegna araldica del cardinale Ruffo mostrano come nel Settecento i
più importanti nomi dell’aristocrazia si avvalessero per l’arredo delle
loro abitazioni di quanto dipinto a Castelli.
Già da tempo per questi preziosi oggetti si era persa la originaria funzione d’uso e li si considerava rarità da esporre nei cabinets de curiositès o da appendere alle pareti di raffinati ambienti per essere apprezzate da una schiera di eletti intenditori, ora con la mostra La fragile bellezza Istoriato castellano fra XVII e XVIII secolo si
vuole ancora di più dimostrare come la perizia degli artisti della
famiglia Grue fosse riuscita nella ardita sfida di trasformare una
tecnica produttiva nata per la realizzazione di oggetti destinati
all’uso domestico, in un vera e propria forma di espressione artistica.
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