IL "DIARIO GIORNALIERO (1854-1870)" DI DOMENICO SAVINI IL 9 MAGGIO ALLA BIBLIOTECA DELFICO DI TERAMO. UNA NUOVA FONTE PER LA STORIA DI TERAMO E PROVINCIA, UNA DELLE OPERE PIU’ CORPOSE MAI PUBBLICATE
AltreNote di Storia aprutina
Dopo tanta attesa arriva la presentazione del Diario Savini il 9 maggio
alla Biblioteca "Melchiorre Dèlfico" di Teramo (ore 18), la
straordinaria edizione costata 8 anni di lavoro editoriale, un vero e
proprio libro dei record, il "Diario giornaliero (1854-1870)" di Domenico Savini, costituito di 8 tomi in cofanetto per complessive 4.580 pagine, una delle opere più corpose mai pubblicate.
Per l’occasione sarà presentato in veste editoriale autonoma anche il volume “L’Ottocento di Domenico Savini” di Luigi Ponziani, che contiene il saggio introduttivo al Diario saviniano.
All'evento prendereanno parte, Franciska Stenius Savini, coordinatrice del progetto, la storica Francesca Fausta Gallo, direttrice del Dipartimento di Scienze Politiche presso UNITE, lo storico Luigi Ponziani dell'Istituto Abruzzese di Ricerche Storiche e Simone Gambacorta, vicepresidente dell'Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo.
Entrambe le edizioni sono pubblicate dalla casa editrice teramana Ricerche&Redazioni.
L’OPERA
Il
Diario di Domenico Savini, che va dal 1854 al 1870, costituisce un
corpus documentario di primaria importanza per lo studio della storia
economica, sociale, ma anche civile e culturale della Città di Teramo e
dell’ampio territorio della vecchia provincia aprutina del quale fu
capoluogo. Quasi una fonte primaria tanto più rappresentativa in quanto
scarse ancora sono le testimonianze di prima mano di personalità che
ebbero un ruolo eminente nella storia aprutina del XIX secolo.
Molteplici sono le ragioni di tale rilevanza: in primo luogo l’ampiezza
temporale e l’assiduità giornaliera del documento diaristico; quindi il
periodo storico descritto che consente di cogliere passo dopo passo i
processi politici e istituzionali che preludono alla crisi finale del
Regno delle Due Sicilie e alla nascita del nuovo Regno d’Italia;
infine
le connessioni sociali che dalla narrazione risaltano con particolare
evidenza e che ci consentono di coglierne dinamiche, movenze, caratteri
nel corso di un tornante fondamentale della storia teramana, abruzzese,
nazionale: giorno dopo giorno scorrono personaggi grandi e piccoli della
società del tempo, avvenimenti locali e nazionali, gli accadimenti
europei con gli effetti che producono nell’apparente lontana e appartata
provincia del Regno. Cosicché il racconto che ne deriva ci restituisce
un caleidoscopio umano, sociale e civile di sicura vivacità.
L’importanza
del documento risiede altresì nel ruolo che il suo estensore riveste e
che non si esaurisce nella sua specifica individualità, ma si connette
ad una tradizione famigliare di governo che, per il peso economico
assunto in un arco temporale relativamente breve, faceva della famiglia
Savini una componente essenziale della società teramana del tempo.
Figlio
di Sigismondo (1777-1851) sindaco di Teramo nel 1815 al tempo della
seconda “realizzazione” del Regno borbonico, nipote di Berardo
(1746-1818) e pronipote di Ferdinando che già nel 1788 aveva ricoperto
la carica di sindaco annuale della Città alla fine del governo
oligarchico, Domenico (1810-1889) apparteneva a una famiglia che
attraverso i commerci, le successive acquisizioni fondiarie e le
proprietà acquistate tra Sette-Ottocento all’interno della Città si
proponeva tra le più cospicue, anche se non tra le più antiche, della
vecchia provincia teramana.
Sigismondo, poi,
sposando nel 1808 Barbara Palma sorella di Niccola, Pancrazio, Emanuele e
Vincenzo, si inseriva prepotentemente all’interno del ceto
amministrativo e civile cittadino divenendone tra le massime
espressioni.
Domenico stesso, due volte sindaco
triennale di Teramo nel 1842 e nel 1852, divenne a sua volta
protagonista della vita economico-sociale e amministrativa provinciale,
fino alla caduta del Regno meridionale; ma anche successivamente,
all’interno del nuovo quadro istituzionale dello stato unitario, egli
ebbe sempre elevato prestigio sebbene rimase in posizione più defilata
rispetto al passato.
Domenico è un cattolico assai
ligio ai precetti e ai canoni della Chiesa ai quali impronta i suoi
comportamenti quotidiani; è un conservatore di evidenti sentimenti filo
borbonici; possiede una cultura nient’affatto superficiale e una
sensibilità marcata che gli consente di cogliere e interpretare
originalmente gli avvenimenti che incrociano la sua vita.
Alla
svolta del 1860-61 egli non pone in essere alcun comportamento ostile
nei confronti del nuovo governo: si limita ad un atteggiamento di
sostanziale dissimulazione. La deprecatio temporum che egli sviluppa,
assai raramente acquista rilievo pubblico dal momento che la sua cultura
civile non gli consente di debordare dal sostanziale (oltre che
formale) ossequio ad una idea di ordine sociale che poteva ben condurlo
entro le coordinate del nuovo stato unitario una volta ristabilita la
tranquillità pubblica e debellata ogni anarchia.
Questa
originalità di pensiero e di azione è ben presente all’interno del
Diario che diviene in tal modo una lente di ingrandimento capace di
guardare la società contemporanea e individuare i nodi che la
inviluppano in un periodo storico così cruciale. Talché le informazioni
che traiamo dalla lettura e dallo studio del Diario di Domenico Savini
toccano una infinità di temi atti a ricomporre criticamente non solo la
vita individuale comunque di un protagonista, ma anche quella di una
realtà territoriale periferica, ma non per questo meno significativa.
Finanza, economia agraria, commerci, tecniche agronomiche, vita
quotidiana, relazioni sociali, usanze e tradizioni popolari,
organizzazione e comportamenti religiosi, assetti territoriali,
viabilità, agenti atmosferici, cronaca cittadina, vita civile, cultura,
tutto trova spazio e sistemazione all’interno della narrazione
diaristica che finisce per riassumere gran parte della storia municipale
di Teramo e del suo territorio.
Di qui
l’importanza della pubblicazione integrale del manoscritto saviniano
che, in assenza di documenti similari (memorie, carteggi) per il periodo
considerato, assurge a fonte primaria capace di restituire con
vividezza un periodo cruciale della nostra storia contemporanea.
Nella
copertina di entrambi i volumi, è riprodotto un prezioso ritratto di
Domenico Savini (1810-1889), tratto da un dagherrotipo degli anni '40
dell'Ottocento custodito nella biblioteca di famiglia di Villa Savini a
Selva dei Colli.
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