"Castelli è un potenziale enorme. Lavoriamo insieme affinchè non resti solo potenziale" . Intervista a Fernando Filipponi, storico dell'arte e ricercatore al Museo del Louvre di Parigi

di Marcello Maranella

Con la pubblicazione della voluminosa ricerca su Aurelio Anselmo Grue -La maiolica nel settecento fra Castelli e Atri (Verdone Editore)- lo studioso teramano Fernando Filipponi ha aperto una pagina inedita nel panorama dell'arte ceramica italiana a cui recentemente si è aggiunto Souvenir d’Arcadia. Ispirazione letteraria, classicismo e nuovi modelli per le arti decorative alla corte di Clemente XI, stampato per i tipi di Umberto Allemandi, la casa editrice torinese specializzata nella pubblicazione di libri e periodici d'arte e d'architettura. 

Nato a Teramo nel 1978,  Filipponi ha studiato lettere all’università Alma Mater Studiorum di Bologna ma la storia dell’arte e l’archeologia erano le sue passioni già quando decise di iscriversi al liceo Delfico nella città capoluogo. A Bologna ha acquisito  l'imprinting riconoscibile nell’orientare i suoi interessi, strutturare metodologie, progettare il lavoro di ricerca, prima come studente, poi durante il dottorato, infine negli anni in cui è stato ricercatore del Dipartimento delle Arti.  Le questioni poste nell'intervista che segue aprono uno scenario suggestivo sul futuro della ceramica di Castelli.

Come nasce l'idea di rivolgere la tua attenzione alla ceramica castellana?

Diciamo subito che ho avuto  grande libertà di crescere e sperimentare piste assolutamente originali e in un certo senso inedite. Come quando ho introdotto lo studio di Castelli, che si è ampliato con  la storia del territorio di Atri in cui emerge l'importanza del ruolo della famiglia Acquaviva d’Aragona, in un dipartimento in cui non era affatto scontato. Non si trattava delle arti “maggiori” e non era una “storia” del territorio emiliano-romagnolo, eppure l’ingresso di questi studi è stato accolto senza riserve. Anche per questo Bologna resta una grande scuola di formazione.

Come mi è venuto in mente di studiare Castelli? Per caso. Cercavo un soggetto di ricerca. L’équipe in cui ero inserito si occupava soprattutto di pittura di paesaggio con Anna Ottani Cavina ed Emilia Calbi, considerate fra i massimi studiosi di questo genere. Nel frattempo partecipai a un’asta a Milano di grande interesse. Fra le altre cose vidi un piatto (che anni più tardi ho attribuito ad Aurelio Grue, nella monografia del 2015) con un paesaggio magnifico su un supporto molto “strano”: la maiolica. Mi sembrò che opere come quella avevano un potenziale enorme. E iniziai a occuparmene.  


Perchè hai deciso di emigrare a Parigi?

Sono partito alla volta di Parigi come “chercheur invité” negli anni del dottorato e qualche anno dopo come Ricercatore al département des Objets d’art del museo del Louvre e alla Fondation des Sciences du Patrimoine; quindi all’Università Paris 10, dove mi occupo, all’interno del Laboratoire d’excellence Les passées dans le Présent di nuove forme di gestione e valorizzazione dei beni culturali (patrimonio materiale e immateriale) nell’era digitale. In effetti sono essenziali le possibilità offerte dalle nuove tecnologie nella creazione di piattaforme partecipative che costituiscono un luogo d’incontro fra le istituzioni culturali quali musei, biblioteche, archivi. C'è posto anche per i cittadini che vogliono interessarsi, come amateurs, a quei contenuti culturali e che possono in vari modi collaborare alla conoscenza e alla valorizzazione di quei patrimoni partecipando all’attività dei professionisti, conservatori dei musei, ricercatori, tecnici, restauratori. In questo quadro sono inserito nell’équipe « Collabora. Plateformes  contributives culturelles » e « Particip-Arc. Recherches culturelles et sciences participatives ». Accanto a ciò prosegue la collaborazione col Louvre.  A breve inizierò a lavorare alla stesura del catalogo generale delle maioliche del museo: “librone” a quattro mani con Françoise Barbe, conservateur en chef del Département des Objets d’art.  

Comunque Castelli rimane piuttosto lontano dal tuo specifico lavoro di ricercatore.

Può sembrare strano ma anche da questo punto di osservazione “parigino” Castelli resta, come pensavo già anni fa, un potenziale enorme: ma un potenziale, appunto. E’ necessario secondo me - lo era anche prima, ma adesso è un’urgenza - operare scelte strategiche che fungano da catalizzatori di questo potenziale. A mio avviso la parola d’ordine dovrà essere “sinergia”, e questo a più livelli. Sinergia tra operatori diversi: Comune di Castelli, Museo delle Ceramiche, Istituto Grue, artisti e artigiani castellani, aziende ceramiche, studiosi e ricercatori italiani e stranieri. Sinergia fra le collezioni d’arte antica e quelle di arte ceramica contemporanea di proprietà del Comune. Ma deve trattarsi di una visione, un’analisi teorica, cui seguono a ruota contenuti e azioni e un reale gioco di squadra fra istituzioni diverse. Per fare un esempio: questa sinergia deve prendere forma nella stretta collaborazione con altre istituzioni culturali del territorio teramano (e non solo). Perché i circuiti turistici “si creano”, non nascono da soli. Ed è chiaro che Castelli deve essere inserita in un circuito più ampio, che permette di offrire al visitatore un pacchetto di offerte culturali eterogeneo e di alta qualità  - dentro cui c’è Castelli, ma non solo - perché cosi vinci la concorrenza meno qualificata.  Penso a Teramo, che deve mettere a disposizione le sue competenze - l’università possiede professionalità straordinarie, anche come storici dell’arte - e “garantire” per le realtà meno strutturate. Peraltro Teramo stessa, a sua volta, necessita di un rilancio del Polo Museale Civico, anche in questo caso un potenziale di tutto rispetto, e tutto da sfruttare. Ma penso anche ad Ascoli, cosi vicina ma così lontana nella visione di alcuni amministratori, che dovrebbe far parte di questo circuito. Esattamente come nei secoli precedenti  la vicina città marchigiana è sempre stata un grande partner commerciale dei castellani con le sue competenze qualificate e comprovata capacità di “mettere a sistema” la gestione culturale. 

Come pensi si possa invertire la rotta?

In questo modo blocchi anche quel meccanismo di progressivo depauperamento, non solo materiale ma anche culturale, che Castelli subisce da anni. Per essere più chiari: bisogna che le ricadute economiche del “brand” Castelli finiscano a Castelli, e non altrove. E questo lo puoi fare soltanto se costruisci una rete di cui tu sei protagonista attivo, non se ti chiudi a riccio e ti isoli.

Per fare ciò bisogna a mio avviso partire dalla “messa in sicurezza”, metaforicamente parlando, del Museo delle ceramiche, cioè dotarlo di tutti quei servizi e funzionalità che gli mancano oggi. E questo al fine di non farsi scavalcare e oscurare dagli altri musei. Penso al catalogo, a una museografia da rifare, ai dossiers delle opere (essenzial-ISSIMI), all’attività scientifica, di programmazione, di produzione culturale, alla promozione e gestione delle presenze dei visitatori, alla comunicazione.   

Un obiettivo ambizioso ma altrettanto interessante per una realtà interna che deve fare i conti con la ricostruzione e una visione troppo legata al passato.

 

Infatti non è un bel vedere che dopo anni dal terremoto il Museo di Castelli sia ancora in quello stato. Dal mio punto di vista quelll'importante struttura museale  può essere il cardine, e il simbolo,  di questa attività sinergica, inclusiva e reticolare.

Poi c’è anche la ricerca che deve fare la sua parte. Si dice sempre che la ricerca è una ricchezza per il Paese, ma talvolta non si capisce bene come avviene questa trasformazione da “conoscenza” a “ricchezza materiale”. Eppure è semplice: quando ad esempio hanno attribuito alle manifatture di Castelli, qualche decennio fa, la tipologia Orsini-Colonna, il “marchio” Castelli ha fatto un balzo avanti, le quotazioni dei suoi prodotti sul mercato ne hanno giovato enormemente, consolidando la posizione del centro abruzzese e consentendole di reagire meglio di altri centri alla crisi economica di quegli anni. In questo senso spero che anche i risultati delle mie ricerche, appena pubblicate nel volume “Souvenir d’Arcadia”, possano agire in modo analogo: in questo libro si dimostra, documenti alla mano, il prestigio di Castelli nello scenario nazionale fra Sei e Settecento; il ruolo cruciale del papa Clemente XI nel “lancio” internazionale di Castelli; la matrice intellettuale e “romana”, nell’alveo dell’Accademia dell’Arcadia, del cosiddetto paesaggio castellano. In altri termini la produzione castellana balza così alle primissime posizioni della storia delle arti decorative europee negli anni del Re Sole. E questo spero che funzioni da innesco di un nuovo circuito virtuoso, così come è già avvenuto in passato.  

Hai posto sul tavolo una riflessione ad ampio spettro che stimola una discussione più approfondita con altri protagonisti. Perciò la domanda su un eventuale tuo impegno diretto per Castelli mi sembra d'obbligo.

Tutto è possibile. Intanto mi sento di affermare che questo è il contributo che la ricerca storica dà alle comunità. Privare, all’inverso, un territorio della propria memoria e della propria storia lo rende necessariamente più fragile. Lo impoverisce della consapevolezza di quello che vale. E poi “te lo compri” a due soldi. Questo funziona in molti ambiti: anche rispetto alla tradizione gastronomica del Teramano, ad esempio, di cui si discute in questi anni perché oggetto, paradossalmente, di una concorrenza spietata da parte di culture gastronomiche la cui qualità e valore storico sono evidentemente minori. Questo è il motivo per cui le comunità (le Regioni, lo Stato, i Comuni) devono assolutamente trovare i modi per sostenere, promuovere e finanziare la ricerca. Per quanto mi riguarda mi impegno anch’io in questa direzione. Poi naturalmente cerco di contribuire anche in altri modi e di confermare la mia disponibilità in ogni occasione. I progetti che porto avanti - nei musei, nella ricerca accademica, cercando di promuovere sempre una prospettiva internazionale - si sostengono l’un l’altro, possono essere integrati e consolidarsi a vicenda. Progetti di gestione partecipativa del patrimonio possono essere introdotti anche a Castelli, così come nuove formule di gestione museale, più adatte alle sue specificità.

 

 

 

 

 

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