Lquirizia: storie abruzzesi di industria e lavoro
Una "Storia della liquirizia in Abruzzo" è appena stata stampata dalla casa editrice teramana "Ricerche e Redazioni" di Giacinto Damiani e Barbara Marramà a firma di Adriano De Ascentiis, dottore in Scienze Naturali e Direttore della Riserva dei Calanchi di Atri. Atri, dunque, non solo città d'arte ma anche sede di intraprendenza economica.Un luogo dove nel secolo scorso la lavorazione e la commercializzazione della Liquirizia ha avuto un ruolo rilevante sul piano industriale e occupazionale. "Un microcosmo", per dirla con Sabatino Moscati nella sua storia in filigrana, " nel quale si riflette il macrocosmo della storia d'Italia. E aggirandosi nelle piccole vie tranquille, tra le chiese e i palazzi severi, mentre la vista spazia dal Gran Sasso all'Adriatico, si percepisce il senso vivo del nostro passato, che riemerge per divenire parte di noi stessi: qui come altrove, nei mille paesi e città d'Italia".

Un patrimonio che si snoda nel tempo e trasmette i caratteri di un'etnia, quella atriana, molto particolare da descrivere, impegnativa nella ricerca delle fonti, appassionante per gli studiosi e i visitatori stranieri. Perciò ho salutato con piacere all'ex Teatro Popolare di Teramo l'autore che ci ha regalato in video una eloquente sintesi della sua ricerca sulla liquirizia in Abruzzo in cui Atri occupa un posto di rilievo. Una chiarezza espositiva che ho poi trovato ancor più strutturata fra le pagine del libro, ricco di riferimenti bibliografici e note a piè di pagina, anticipati dalla presentazione di un attento studioso come Aurelio Manzi a cui mi lega un'esperienza lavorativa tecnico scientifica presso l'Ente Parco del Gran Sasso e Monti della Laga. A dare sostegno a Adriano sono intervenuti Dante Caserta, vicepresidente nazionale del WWF che condivide con Adriano doveri associativi ed eventi promozionali di educazione ambientale; Marcella Cipriani e Silvia De Paulis, espressioni di Slow Food ai diversi livelli operativi per ribadire l'importanza di sostanze naturali come la liquirizia nell'ambito del concetto del cibo buono pulito e giusto raccomandato da Carlo Petrini. Infine Luigi Ponziani, assessore alla cultura al comune di Teramo, che ne ha messo in risalto l'intreccio fra natura e vicende sociali che toccano anche il capoluogo per opera dell'ingegno di Vincenzo Comi...."medico e chimico il quale nel 1806 possedeva già uno stabilimento di liquirizia nella città di Teramo, a ridosso delle mura della città nel quartiere di San Giorgio". Tutti comunque orientati ad inserire la ricerca di Adriano in una dinamica storico economica del tempo dei De Rosa e dei Menozzi e poi di Barabaschi e della SAILA di Silvi Marina, considerandola una base di studio per illuminare altri percorsi suggestivi rimasti nell'ombra della conoscenza. Mi è parsa una pertinente valutazione oltre che uno stimolo incoraggiante. Mentre ascoltavo con attenzione i racconti di Adriano ne apprezzavo i dettagli spesso citati in dialetto atriano stretto che identificava l'azienda come.. lu chence...! Quella fabbrica ricavata dall'ex convento domenicano del cinquecento che si affacciava sulla vallata del Vomano da cui promanava un odore intenso di liquirizia e vapore. Più in là, oltre la Porta di San Domenico, i camion scaricavano grandi quantità di radici provenienti per la gran parte dal sud dell'Italia o dal medio oriente. 
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