Quando Gigi Proietti ci stregò con gli occhi al Teatro comunale di Atri

 


di Marcello Maranella
 

Gigi Proietti se n'è andato così, all'improvviso,  come il suo cuore ha comandato.  Si è allontanato dalla scena esistenziale con discrezione e grande dignità d'artista. Se non vivessimo i tempi grigi e funesti della pandemia avremmo visto oggi al suo funerale migliaia di telecamere riprendere file interminabili di persone commosse corse a rendergli l'ultimo omaggio in quella che una volta si chiamava camera ardente. Infinitamente grati e sempre più affascinati dal suo  modo di  raccontare la favola della vita.


Basta un clic sulla tastiera per rivederlo giovane mandrakato in Febbre da cavallo o maturo conduttore televisivo in Cavalli di battaglia per riascoltarne le battute improvvisate o le barzellete sagaci e ridere a crepapelle, ripercorrendo con lui una parte significativa della nostra esistenza. Miracoli del mondo digitale che squaderna l'animo universale in una manciata di secondi. Ciò domostra che l'arte in generale e il cinema in particolare non sono sovrastrutture di quel che ci rimane a fine giornata del nostro ansimante vivere quotidiano. Costituiscono, invece, la straordinaria combinazione fra finzione e realtà che alimentano sogni e scaricano  bisogni. Sensazioni che avvertii in adolescenza dai palchi di velluto rosso damascato del Teatro comunale di Atri. Luogo ideale per ammirare la funanbolesca rappresentazione di Gigi Proietti nella prima di A me gli occhi please. Un capolavoro di frizzi e lazzi, di sguardi e gesti, di amenità e ambiguità, di bugie e verità, di salti e giravolte  che erompevano sul palcoscenico ipnotizzando lo spettatore senza un attimo di respiro. Con  tutte quelle suggestioni che Gigi estraeva da una specie di baule che prendevano forma e sembianze nella vicenda contemporanea. Il teratro pieno e il silenzio della platea davano la misura infinita del rapporto di rispettosa complicità fra attore e pubblico conquistato. Tutti rapiti da quell'eloquio di buona scuola con Carmelo Bene e Vittorio Gasmann ma anche acuto, ironico, sensibile interprete della sua amata Roma con Trilussa e Petrolini. Una grandezza indescrivibile di umanità e cultura, di talento e gradevolezza nel bel mezzo di una società piuttosto avara di sorrisi e colma di affanni.  Grazie Gigi con l'auspicio che al più presto in tuo onore i teatri tornino a vivere.

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