LA PRIMA VOLTA CHE HO VISTO IL MARE

di Marcello Maranella

È tutta un'altra cosa prendere il treno anziché salire in taxi dall'aeroporto di Cagliari e scivolare lentamente da quell'ultimo lembo di mare per mettere piede nel capoluogo della Sardegna. In meno di dieci minuti ero dalle parti di  Via Roma, dove sono rimasto ospite per qualche giorno in attesa della prima teatrale di " La prima volta che ho visto il Mare". Ero già stato a Cagliari il primo maggio dell'anno scorso insieme ad altri amici teramani. Marco ci aveva invitato in occasione della festa di Sant'Efisio solleticando per bene le nostre curiosità fino a convincerci ad infilarci gioiosamente fra la moltitudine di popolazioni sarde, convenute a Cagliari per sfilare in costume tipico delle più storiche località dell'isola. Un evento di grande impatto antropologico in un fantasmogorico effluvio di colori e ori filigranati di raffinatissima lavorazione. Ed eccomi qui di nuovo, fra le storie dell'emigrazione interpretate da bravissimi attori che insieme a Marco sono sul palcoscenico del Teatro Massimo di Cagliari.  Ho visto cose belle l'altra sera di martedì 16 aprile in quel teatro illustre. Ho sentito emozioni di migranti sardi diretti in Francia e poi in Belgio lungo i confini dell'incertezza, dentro il mare profondo da attraversare. Ho ascoltato narrazioni dell'altro secolo e nuove traversie  di speranze perdute che si consumano in altri mari di isole vicine dove ministri italiani negano l'approdo. 

Da destra Gianni Loy, Marco Bisi, Lia Careddu, Eleonora Giua e Alessandro Olla 
Eppure, dalle origini del creato, di razza in razza, siamo stati tutti a vario modo viandanti e pellegrini che girano il mondo per scoprirne vizi e virtù. Spesso, però, si fugge da un mondo ostile con la valigia piena di sogni ma altrettanto carica di primarie necessità, freneticamente in cerca di quel luogo dove poter impiantarvi radici di nuove esistenze. In fondo anche viaggiare per emigrare diventa un condensato di culture lontane e misteriose, di suoni, colori e canti prima sconosciuti, di usi e consuetudini piuttosto contaminanti. All'ora stabilita il sipario scopre la sala colma di gente attenta e composta sulle comode poltroncine di colore avio chiaro in contrasto con le pareti rivestite di legno marrone su cui s'appoggiano i tanti spettatori rimasti senza posto. Un silenzio partecipato e rispettoso da parte del pubblico si diffonde dal basso verso l'alto.  Quasi a volersi integrare con quegli echi e quei suoni che si accavallano sul palco fra due persone distanti nel tempo e nel luogo, mentre uno speaker scandisce il susseguirsi degli accadimenti di sferzante attualità, accompagnati da sonorità tratteggianti e fuggevoli. Figure e voci che escono ed entrano in scena come fossero singole entità per ricomporsi, alla fine, in un unicum dialogico davvero efficace e sorprendente..."Così, nel 1930, emigrò di nuovo in Francia, stavolta legalmente. Ha lavorato per qualche anno nella zona di Marsiglia, forse alla costruzione del porto. Quanto vi sia rimasto non si sa"..."Mio nonno, invece , è tornato. forse perché in paese aveva moglie e figli, un asino e qualche gallina. Al suo ritorno avrebbe comprato un nuovo giogo di buoi. Si chiamavano Arangiu e Bellu. Ad ogni domanda sulla sua identità, lo ricordo, rispondeva con un refrain, appreso chissà dove e chissà quando: "Il mio nome è Afineddu, sono figlio di: fu Tasca Rotta Michele e di : Camicia Stracciata Lucia. Mestiere: vagabondo".
Era un suo "selfie" di pover'uomo".
E' il trionfo del racconto magicamente interpretato dalla grande attrice Lia Careddu in perfetta combinazione narrante con un accattivante Marco Bisi, insieme alla giovane e brava Eleonora Giua e al creativo musicista Alessandro Olla. Mirabile la regia di Cristina Maccioni, liberamente ispirata allo struggente libro di Giovanni Loy "La prima volta che ho visto il mare". E anche io riprendo la via del mare con il ricordo di attimi preziosi, intensi, irripetibili trascorsi in compagnia di bella gente sarda che ti sorprende ogni volta per la squisita e discreta ospitalità. Perciò "emigro" spesso dal mio Abruzzo verso le terre calde e ventose del cagliaritano, in omaggio a Marco e Giovanna i quali, tanti anni fa, me ne fecero apprezzare il fascino sottile.
testo e photo m. m.















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