GAMMARANA: a passeggio con le storie di vita e di lavoro in una delle periferie più vive della città di Teramo

di Marcello Maranella

 

Non riesco a spiegarmi perchè l'altro giorno, arrivato all'altezza del poligono di tiro, invece di continuare la mia consueta escursione a bordo fiume ho deviato verso via dell'Aeroporto rallentando notevolmente la mia andatura, diciamo così, sportiva. Forse avevo bisogno di spazi larghi per rasserenarmi dall'ansia delle mascherine che non vedi sui volti di chi incroci sopra  il ponte sospeso  nell'ultimo tratto del Vezzola, prima che vada a confluire con il Tordino. 


Un riflesso condizionato, direbbero gli studiosi del comportamento. In ogni caso un condizionamento alquanto fastidioso per il cambio di programma che tuttavia mi ha alleggerito la mente dai cattivi presagi pandemici. Ed eccomi perciò davanti alla fitta recinzione metallica oltre la quale insistono i lavori di completamento del centro commerciale Globo, tanto imponente da cancellare le ultime tracce dell'azienda Adone che da Teramo assicurava la produzione dei binari della rete ferroviaria del Paese. I tempi cambiano alla Gammarana dove, però, continuano a convivere sviluppo urbano e vocazione industriale in attesa che il virus  venga sconfitto. Proseguo lungo la pista ciclabile allungando lo sguardo sul vialone che costeggia gli impianti sportivi del circolo tennis e va a chiudersi al Parco della Scienza sorto nell'ex area Gavini, un tempo fiorente industria locale di imbottigliamento. 




E così la passeggiata rilassante si trasforma in una sorta di reportage al tempo del covid  in una delle periferie più vive della città capoluogo, a confine con il mitico quartiere San Berardo. Dietro quella muraglia di mattoni refrattari di fronte al nascente centro commerciale si raccontano storie di vita e di lavoro dei giovani teramani della seconda metà del '900 e l'emergere di figure industriali di grande inventiva come  Potito Randi che da Castelli trasferisce a Teramo il know-how aziendale della SPICA  per la costruzione di piastrelle da rivestimento in maiolica, assorbita poi, alla fine degli anni sessanta, dalla mulinazionale tedesca Villeroy & Boch. Non incontro traffico pesante e nemmeno assembramenti umani in un pomeriggio nuvoloso reso ancor più cupo dalla paura di incrociare il virus in ogni angolo di stada.  Il rischio che l'Abruzzo diventi zona rossa è ormai scontato stando agli annunci del governo regionale. 

Vado a zig zag per catturare immagini evitando di inciampare sul muretto di demarcazione fra la strada e la pista pedonale colore amaranto quasi in tinta con il rosso dei mattoni delle mura di cinta degli antichi opifici ammantati da graffiti e disegni. Sono moniti di educazione ambientale, dalla salvaguardia dell'acqua al corretto trattamento dei rifiuti,  impressi probabilmente con incisiva semplicità dagli studenti delle scuole circostanti prima che l'icubo pandemico  ne limitasse la voglia di apprendimento e lo spirito creativo.  Concetti sempre  vivi della didattica in presenza che riconducono agli insegnamenti di Anna Ferrante e Giovannino Pettinaro, eccellenti docenti vissuti nel quartiere e molto amati dalla gente della Gammarana. 


Alle cinque della sera il cancello scorrevole della "grande fabbrica" è ancora aperto e mi viene voglia di tornare a vedere le opere che l'artista di origine teramana, Diego Esposito, realizzò nel 2003 ispirate alla luce soffusa filtrata dalle volte bucate che scoprono ancora oggi la collina di Collurania. Ma la vista è alquanto deprimente se ripenso all'estro lungimirante del maestro Esposito rivolto alla riqualificazione di quegli spazi enormi. Quel Nastro, concepito e realizzato in una specie di "giardino" di residui ceramici bianchi simboleggianti lavoro e imprenditività di gran pregio, fu la prima installazione ricca di suggestioni che si incontrava entrando nel vestibolo della Villeroy & Boch. Un'opera d'arte ora sepolta sotto una selvaggia fioritura di erbacce ed escrementi di una folta colonia di piccioni. 

"Una veduta metafisica di archeologia industriale, di cancelli arrugginiti, di pilastri sospesi nell'aria, di muri screpolati e cadenti, di vetrate infrante come sogni... di una rigenerazione mai avvenuta"


Ad un certo punto la strada piega a destra restituendo sul filo della memoria visiva i luoghi della produzione del confettificio Arcangeli ceduti al centro telematico della Cassa di Risparmio della Provincia diTeramo, per finire dinanzi al capannone della fabbrica di dolci L'Aquila d'Oro, più tardi diventata Campo del Re e per lungo tempo sede televisiva di Teleponte di proprietà del Gruppo industriale di Romano Malavolta. 


L'insegna gialla della gloriosa emittente del tempo che fu resiste ancora all'incuria del tempo sopra un tappeto di foglie ingiallite in quest'autunno che registra note di incerto futuro lavorativo per i colleghi delle due redazioni de  Il Centro e La Città. Ieri come oggi, non è mai superfluo ricordarlo, comunicazione e democrazia sono indispensabuli per la buona tenuta del tessuto sociale, culturale e produttivo in terra aprutina. Si sta facendo notte ed è ora di rientrare....

 

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