Borghi rigenerati e albergo diffuso. Viaggio nella montagna teramana fra rivoluzione verde e transizione ecologica




La quiete dopo il vento e la pioggia. Il Corno Grande è una meraviglia del creato. Il sole irradia le altre cime innevate del Gran Sasso e della Laga regalandoci uno scenario mozzafiato. Dalle colline teramane il passo è breve per raggiungere luoghi rigeneranti in questi tempi cupi e incerti di pandemia. Siamo ancora in zona gialla e speriamo di rimanervi se ci impegnamo tutti a sconfiggere responsabilmente questo virus minaccioso e invisibile. 

 

Da sempre il popolo aprutino vive in simbiosi con il territorio montano. Chi va per funghi e tartufi rispettando la natura sa benissimo che l'ambiente circostante è un concentrato di emozioni infinite e inaspettate. Si entra in contatto con mondi variegati di biodiversità da assaporare dal vivo con gli occhi, con l'udito, con le mani. Quando a primavera la neve si scioglie la natura si risveglia e sollecita le nostre capacità sensoriali con nuove fioriture vegetali, con intensi profumi di essenze naturali. In senso più strettamente economico diremmo: con antiche varietà cerealicole, orticole, leguminose e frutticole gelosamente custodite per generazioni da agricoltori e coltivatori nei due versanti del Gran Sasso. 

Cultivar uniche e preziose. Da tutelare e scambiare per il futuro stesso dell'umanità in un mondo in cui il clima muta rapidamente. Le gigantesche faggete nei magnifici boschi vetusti dell'Aschero a Prati di Tivo o di Fonte Novello a Intermesoli o il frassineto di Valle Vaccaro o il Bosco della Martese nell'incontaminata  zona del Ceppo sono veri e propri musei all'aperto. Tanto benefici per ossigenare la mente quanto ampi nella loro estensione per camminare piacevolmente senza perdere l'orientamento. Non c'è che l'imbarazzo della scelta per rilassarsi ascoltando il soave linguaggio delle piante.


Per rendere produttivo  questo meraviglioso capitale naturale che ci è stato tramandato non si può prescindere dalla conoscenza degli usi e delle consuetudini che regolavano la vita dei nostri antenati. Il Gran Sasso è sempre lì, con i suoi endemismi e le sue leggende raccontate da scienziati e alpinisti, da scrittori e artisti, da eremiti e pastori che lo hanno attraversato dalle pendici alle terre alte.  

Francesco De Marchi, alpinista speleologo bolognese, nel 1573 effettuò la prima ascensione per esplorarlo nelle sue pieghe più profonde. L'ingegnere militare sorpreso da presenze pastorali consistenti così annotava nei suoi diari di avanzamento..."par esser'uno esercito grossissimo à vedere tante capanne e tante tende, massime la sera quando tutte anno acceso i fuochi". Erano pastori e greggi che scrivevano la millenaria storia della transumanza dell'Appennino centrale inconsapevoli di attraversare l'imponente Massiccio. Divennero protagonisti di un'economia fiorente destando l'attenzione dei Medici di Firenze che intorno a Campo Imperatore intensificarono la redditizia  produzione della lana, del latte e dei formaggi di prima qualità. 

Alessandro Clementi, storico aquilano e impareggiabile narratore, ci offre suggestioni e certezze nell'Atlante storico del Gran Sasso, edito dalla casa editrice teramana Ricerche e Redazioni..."le montagne che sembrano muraglie anzichè dividere uniscono: il passo della Portella ne è appunto un simbolo".  Un' esplosione di grandiosa bellezza dove volteggiano le aquile reali e regna la rupicapra pyrenaica ornata: il camoscio più bello del mondo. Con il garbo intellettuale che lo contraddistingue, il professor Clementi ci accompagna sul sentiero che un tempo... gli uomini di Pietracamela percorrevano come slitte umane per raggiungere Assergi e rifornire gli opifici dell'arte della lana dell'Aquila. Era l'identico panorama che si mostrava ai mercanti aquilani diretti a Montorio e nella Valle Siciliana per acquistare vini e olii. 

Del resto cosa unisce più dei commerci? 



La frazione di Aprati lungo la strada delle Capannelle e il bar Arno, al bivio per Pietracamela, sono stati fino a qualche decennio fa stazioni di transito ad altissimo rendimento economico e commerciale. Erano punti di affari e ristoro per le tante maestranze addette alla manutenzione delle strade e delle centrali idroelettriche ma anche per chi doveva raggiungere le mete turistiche di Prati di Tivo, Prato Selva, la Valle del Chiarino e il lago di Campotosto. Oggi quei luoghi sono campanelli d'allarme dello spopolamento e del declino economico delle nostre comunità. Le statistiche demografiche della provincia di Teramo rilevano che la popolazione residente nei comuni dell'area montana è scesa del 4,4 per cento dal 2016 al 2019, per un totale di 2360 unità un meno.  

Lo sa bene il sindaco di Crognaleto, Giuseppe D'Alonzo, che mette in campo tutte le energie possibili per mantenere stretto il legame di solidarietà all'interno e all'esterno del perimetro comunale. Ne danno conferma la realizzazione a Nerito di una zona artigianale e la rianimazione del borgo di Valle Vaccaro chiamando a raccolta Italia Nostra, il Parco, le Proloco e chiunque voglia partecipare alla sfida della ricostruzione materiale e immateriale. 

Se queste sono le priorità ai tempi della pandemia non è certo la funivia il toccasana per ridare smalto ai Prati di Tivo come non ebbero consistenza le idee del trenino a cremagliera e dell'ennesima galleria per invogliare i turisti a imboccare la Strada dei Parchi e sbucare comodamente sul Piazzale Amorocchi. Come se non fossimo all'interno di un'area protetta.

Anche la Sangritana, primaria società dei trasporti in Abruzzo, provò ad investire ai Prati di Tivo ma l'esperimento ebbe vita brevissima. Uno dei  problemi era e resta la gestione degli impianti di rsalita che nemmeno il sostegno pubblico di Provincia e Camera di Commercio è riuscito a renderli remunerativi. E' meglio dunque restare con i piedi per terra e cominciare a ragionare in termini di discontinuità con il recente passato pensando che il piano nazionale di ripresa e resilienza (recovery plan) sia una irripetibile opportunità, se non l'ultima occasione, per essere tutti protagonisti in provincia di Teramo di uno sviluppo socio economico realmente sostenibile.  



Vivere in un'area protetta significa sperimentare modelli operativi di gestione alternativi per creare lavoro sicuro e durevole, cominciando a rimettere in movimento il patrimonio edilizio immobilizzato dai terremoti del 2009 e del 2016. Quando la pandemia avrà allentato la sua morsa letale sarà ancora più chiaro che ogni sforzo per ricreare benessere sarà vano se prevarrà la corsa al consumo fuori controllo di suolo e di risorse finanziarie. Siamo nella fase acuta della ricostruzione che richiede una convinta condivisione di prospettiva da parte dei sindaci, dei tecnici e dei professionisti e, sopratutto, dalla disponibilità di un'imprenditoria dallo sguardo lungo.

 
Prato Selva non deve morire
Il sindaco di Fano Adriano, Luigi Servi, lancia un grido d'allarme per lo stato di abbandono in cui versa da anni la stazione turistica di Prato Selva. 
E' evidente che chi ci rimette di più è la comunità di Fano Adriano non potendo contare su un effetto di ritorno economico generato dal flusso turistico piuttosto considerevole della sua località a monte. Che un tempo era molto frequentata dai teramani e dagli ascolani,
d'inverno come d'estate, per la gradevolezza naturalistica e per il clima temperato. Si sceglieva Prato Selva anche per l'accoglienza gentile e le animazioni di svago oltre lo sci invernale garantite da giovani intraprendenti riuniti in cooperativa sotto la guida esperta di Antonio Riccioni e del compianto Pasqualino Recchia

Il rifugio Prato Selva era la prima tappa per gustare un buon caffè e iniziare bene la giornata prima di salire in seggiovia o sulle ciaspole e sostare alla Baita del Ghiro, sempre aperta. La specialità era il panino farcito di rape fumanti e salsicce nostrane con birra alla spina e poi giù in discesa libera fino a scomparire all'ombra degli alberi che costeggiavano la mitica pista dal nome surreale.... Babette! Antonio sorride e mi corregge...non erano rape ma fagioli! Va bene lo stesso per ricordare con lui in allegria i bei tempi andati. Infatti i tempi e i gusti mutano e Prato Selva per rinascere deve solleticare l'ingegno fantasioso di nuove generazioni di imprenditori che abbiano dimestichezza con la rivoluzione verde e la transizione ecologica. L'incertezza della neve induce a più miti consigli anche operatori della vecchia guardia. Occorre destagionalizzare l'offerta turistica, sostengono.  
 
E' l'unica alternativa possibile per saper "vendere in esclusiva", ad impatto zero e in ogni stagione dell'anno la salubrità dell'aria e dell'acqua, le terapie contro il logorio della vita "moderna" dentro paesaggi da favola o fra le stradine di borghi più belli d'Italia come Castelli e Pietracamela, dove guide esperte sappiano esaltare la raffinata arte della maiolica o le gesta epiche di maestri alpinisti come Lino D'Angelo

Piccole storie di grande fascino per incuriosire e veicolare il visitatore a far parte degli eventi che si mettono in campo anche in cima al Rifugio Franchetti per ammirare il mare Adriatico. Altrimenti come si può competere con altre località turistiche dell'Italia e del mondo se non c'è vita sociale e culturale? Se mancano attività commerciali, artigianali e ricreative? Se non si costruisce un sistema di albergo diffuso in quelle abitazioni garantite dalla messa in sicurezza e dall'accoglienza cortese?  Cosa ne facciamo dei musei naturalstici se rimangono nascosti fra le crepe dei palazzi terremotati? E la tipicità dei prodotti di montagna come può trasformarsi in ristorazione d'eccellenza se non si scommette su una nuova leva di cuochi e pasticceri di collaudata creatività? Non è più tempo di andare ognun per sè. 
 
Fare rete - per creare sistema - per fare futuro  con i nuovi linguaggi digitali planetari per convincere l'utenza a trascorrere una vacanza green e soft nelle magiche atmosfere del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga che da ieri ha due nuovi ambasciatori nel mondo: Anna Consalvo e Ciro Manente a cui invio un cordiale augurio di buon lavoro!
 
testo e foto di Marcello Maranella

Commenti

  1. Angelo Mastrodascio - Cerqueto (TE)
    Ho letto diverse cose scritte da lei e le ho trovate sempre interessanti.
    Questo articolo invece non mi trova affatto d’accordo. Seppur condivisibile in alcuni punti, a mio parere racchiude però quasi per intero tutti gli errori di valutazione che hanno condannato il nostro territorio. I particolarismi dei Comuni interessati, uniti a miriadi di considerazioni personali ed eterogenee di tantissimi appassionati, o esperti che siano, di questi luoghi, generano un mix micidiale, che ha come unico e nefasto risultato quello di lasciare tutto invariato. O peggio ancora, quello di dilapidare letteralmente milioni di euro in opere esagerate ed illogiche. Una per tutte, la seggiovia ai Prati di Tivo. Opere realizzate a seguito di analisi a dir poco approssimative, puntando solo sulle stazioni sciistiche, ma trascurando per intero il resto del territorio e conducendo così in un solo colpo alla morte sia i borghi che le stazioni sciistiche stesse.
    Sul versante teramano del Gran Sasso, nel territorio dell’Alta Valle del Vomano, insistono i paesi di Fano Adriano, Intermesoli, Pietracamela, Cerqueto e Cusciano, i quali sono serviti ognuno da una propria ed unica strada di accesso, un vicolo cieco, che li collega esclusivamente alla SS80 Giulianova-L’Aquila. Ed è proprio questa la causa principale per la quale i nostri paesi montani sono ormai condannati allo spopolamento quasi totale, nonostante siano situati nel territorio del Gran Sasso, la vetta più alta dell’Appennino, con potenzialità turistiche enormi. Per me, residente a Cerqueto e per la maggior parte degli abitanti di questi paesi, è necessario per avere almeno una speranza di ripresa, costruire la strada di collegamento tra i paesi
    Nell’articolo ci sono passaggi contradditori e che dimostrano in modo inequivocabile quello che qui mi preme sostenere. Vi si riporta ad esempio uno stralcio nel quale si afferma "…la frazione di Aprati e il bar Arno, al bivio per Pietracamela, sono stati fino a qualche decennio fa (prima dell’apertura del traforo) stazioni di transito ad altissimo rendimento economico e commerciale. Erano punti di affari e ristoro... Oggi quei luoghi sono campanelli d'allarme del declino economico delle nostre comunità”.
    In questo passaggio c’è la dimostrazione che senza collegamenti non esiste alcuna possibilità di ripresa. E’ questa una constatazione quasi universale, confermata dalle tante civiltà o città scomparse o decadute nello sviluppo della storia, quando restavano tagliate fuori dalle vie di comunicazione.
    “Del resto cosa unisce più dei commerci?” E già, proprio così! E come è possibile “commerciare” quando però non esistono le infrastrutture necessarie per farlo? Eppure, senza tener conto di questo passaggio estremamente esplicativo riportato nell’articolo, nello stesso si sostiene che bisogna abbandonare ogni idea velleitaria di migliorare i collegamenti ma puntare esclusivamente sulle peculiarità del territorio. E per dimostrare questo assurdo assunto, si ricorre alla citazione di ipotesi di progetti di collegamento obsolete o strampalate, tipo funivia Montorio-Prati di Tivo. Non si accenna affatto invece all’unica seria alternativa, la strada che davvero trasformerebbe e moltiplicherebbe le possibilità di ripresa del nostro territorio, e cioè la strada di collegamento tra la Valle Siciliana ed i Prati di Tivo, che attraversi come detto, i paesi fino a Fano Adriano ed un domani magari anche fino a Nerito.
    Questa strada sarebbe l’unica opera in grado di invertire l’economia del nostro territorio, altro che sperperare risorse tra innumerevoli progetti “green”, spesso in grado solo di riversare fondi nelle tasche dei furbi di turno per poi estinguersi e finire mestamente tra i rovi, nel dimenticatoio. Se invece fosse presente la strada appena menzionata, allora anche questi progetti (sentieristica, albergo diffuso, musei naturalistici ed altre opportunità riportate nell’articolo) vedrebbero amplificate le loro possibilità di successo e persistenza nel tempo.

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  2. Gentile Signor Angelo Mastrodascio,
    le sono sinceramente grato per avermi indirizzato il suo commento articolato e critico precisando di essere fra i lettori più assidui di Altre Note. Come tale ho apprezzato taluni suoi rilievi che denotano il forte attaccamento alle sue radici cerquetane, alla storia culturale e sociale di cui lei si fa interprete. Mi consenta, tuttavia, di esortarla a rileggere con più attenzione questo mio reportage sulla montagna teramana, che non si esaurisce con un articolo naturalmente, in cui si sottilinea con estrema chiarezza che non si possono realizzare faraoniche infrastrutture di trasporto (trenino a cremagliera, funivia, periplo, ecc.) in aperto contrasto con norme su conservazione e tutela del nostro immenso, prezioso patrimonio naturalistico. Anche la strada di cui lei si fa sostenitore non è la soluzione ottimale. In tempi di pandemia sono all'ordine del giorno altre priorità per arrestare lo spopolamento. Un fenomeno che riguarda tutti e tutti insieme si deve agire per trovare le soluzioni migliori al fine di riportare benessere e progresso fra le comunità della montagna. A noi cronisti il compito modesto di rappresentare la realtà e diffonderne l'evoluzione con la migliore obiettività possibile.
    Cordialmente Marcello Maranella

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    1. Capisco il suo punto di vista. Ci sono però considerazioni da fare che, mi permetta, quasi esclusivamente chi è nato in questi territori riesce a comprendere a fondo, perchè ha subito tutti gli effetti negativi della mancanza delle NECESSARIE infrastrutture. Il discorso sarebbe lunghissimo, da analizzare sotto diversi aspetti e non può essere questa la sede. Ogni volta che scrivo di questo argomenti, le idee si affollano perchè sarebbero tante le cosa da dire e lo sforzo maggiore è quello di condensare o di tralasciare alcuni aspetti.
      Il mio paese diversi anni fa rimase per circa venti giorni isolato a causa di una frana, subendo tutte le immaginabili difficoltà del caso. Il pericolo permane tuttora e questo pericolo lo subiscono anche tutti gli altri paesi con una (ed una sola) strada di accesso. Lei parla di pandemia. Ma la pandemia è un fatto contingente che non c’entra proprio nulla con un problema quasi atavico. Della strada tra i paesi si parla, pensi un po', dai primi anni del 1900, poiché la SS80 fu costruita nel 1870. Due ingegneri romani furono incaricati di un progetto e si raccomandarono di non limitarsi a collegare solo i paesi alla statale, ma di collegarli anche tra loro, pena la scomparsa di una cultura particolare nata dallo scambio reciproco. A lungo andare l’isolamento li avrebbe condannati alla scomparsa. Questo progetto/studio si trova nell’archivio del Comune di Pietracamela. Due ingegneri avevano capito nel 1906 (solo carri e quasi zero automobili) quello che molti non hanno incredibilmente compreso ancora oggi. Lei mette sullo stesso piano ipotesi di opere ridicole e davvero faraoniche come il treno a cremagliera o (ultima appena arrivata) la funivia Montorio Prati di Tivo con la pedemontana (il periplo di cui parla sarebbe il circuito completo attorno al Gran Sasso, per terminare il quale manca solo il tratto qui in questione).
      La strada tra i paesi non è una nuova opera, ma è semplicemente l’anello mancante nel nostro territorio montano, un lavoro che doveva essere fatto un secolo fa e che solo la cecità delle istituzioni provinciali ed i particolarismi dei Comuni coinvolti hanno bloccato. E non sarebbe affatto un’opera così impattante con l’ambiente, come sicuramente lo sarebbero le altre da lei ricordate.
      Lei dice che sarebbe “…in aperto contrasto con norme su conservazione e tutela del nostro immenso, prezioso patrimonio naturalistico. Anche la strada di cui lei si fa sostenitore non è la soluzione ottimale..”. Eppure in passato l’Ente Parco ha approvato la costruzione della nuova seggiovia Ai Prati di Tivo, dove sono stati spesi più di dodici milioni di euro (!) con un impianto di potenza di ben dieci volte superiore al precedente, ma con un afflusso turistico diminuito molto più di dieci volte rispetto agli anni d’oro serviti dal vecchio impianto. Un tecnico che lavora con gli impianti a fune a Campo Felice, mi disse che sarebbe bastato spendere circa un terzo dei soldi spesi per aver un impianto ugualmente modernissimo, ma molto meno dispendioso e che, per sua esperienza, il tipo di impianto scelto (che è il top degli impianti) era preferibile solo in noti posti turistici molto frequentati , altrimenti sarebbe stato impossibile bilanciare con i ricavi i costi di esercizio richiesti da un impianto simile. Una delle opposizioni che l’Ente Parco rivolse al progetto della seggiovia dei Prati di Tivo, fu invece che l’impianto che si andava a costruire era inopportuno perché, data la sua potenzialità di smistamento, avrebbe aumentato ”l’afflusso antropico”. Cosa perlomeno strana da dire per una stazione turistica, tralasciando invece qualsiasi richiamo sui costi esorbitanti e sui maggiori sbancamenti di terreno occorrenti per realizzare le strutture fisse. Il famoso “afflusso antropico” poi chiaramente non c’è stato e gli impianti hanno spesso girato a vuoto.

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