Quel ragazzo teramano chiamato Mohamed
Le nostre vite dipendono sempre dal mare. Il mare benefico che da bambini ci inonda di iodio e profuma di salsedine. Il mare burrascoso che rende incerto l'approdo nel "nuovo mondo" di una umanità in secolare movimento. Il mare intorno a noi che ci restituisce il corpo senza vita del piccolo Mohamed intento a cavalcarne gioiosamente le sue funeste onde. Ieri Teramo ha pianto lacrime sincere in ricordo di una giovane vita spezzata ritrovata esanime all'imbocatura del porto di Giulianova. I suoi amici di Teramo lo chiamavano Momo: quel ragazzo sorridente e socievole che veniva dallo stesso mare che bagna le terre di un altro immenso continente da cui ogni giorno muovono altri destini e altre storie di amara migrazione. Pensieri e parole che si incrociano oggi a Piazza Martiri, nel cuore di un una città accogliente e solidale, intorno alla mamma di Mohamed mentre stringe la mano del sindaco. Simbolismi di una mutazione antropologica del ceppo aprutino che aprono le porte ad una civile convivenza. Verso una moderna integrazione di saperi e culture che saranno, piaccia o non piaccia, parte integrante del sogno di ricostruzione di Teramo futura. Di cui, forse, anche il piccolo Maometto sarebbe stato, insieme a tanti suoi coetanei, un autentico protagonista.
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