Il fascino del lupo messo a rischio dall'ibridazione?
Mentre leggo il comunicato stampa dell'Ente Parco Gran Sasso Laga sui risultati conseguiti per la tutela del Lupo con i progetti LIFE attraverso cui si chiede la collaborazione con gli allevatori, apprendo da Repubblica che Nerone, metà lupo e metà cane, è il capo branco del litorale romano. Come spiega Paolo Ciucci della Sapienza, uno dei massimi esperti della materia che ho avuto modo di apprezzare dal vivo in occasione dell'inaugurazione del Museo del lupo ad Arsita, "se venisse assicurato maggiore spazio alla ricerca sulla fattibilità ed efficacia dei vari interventi gestionali sarebbe più semplice ottenere un consenso tra gli scienziati. Continuare a negare il problema dell'ibridazione antropogenica solo perché la sua gestione è altamente complessa, sarebbe infatti un errore imperdonabile".
Ma com'è la situazione all'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga?
Nel suo territorio di circa centocinquantamila ettari dove si
contano 2800 equidi, 2900 caprini, 12.500 bovini e 70.000 ovini, grazie al progetto Mirco Lupo e ai
progetti europei che lo hanno preceduto, “Praterie” in primis, la coesistenza del grande predatore con le circa 400
aziende zootecniche che vi insistono può dirsi nel
complesso soddisfacente. Infatti, la naturale conflittualità tra
esigenze di conservazione e interessi economici degli operatori è stata affrontata
attraverso la prassi illuminata e persuasiva del dialogo nei processi partecipativi e tramite misure di sostegno con i fondi europei alle aziende per la realizzazione di recinti di parto, recinzioni per animali al pascolo,
tensostrutture per il ricovero delle greggi in alta quota e cani da guardiania
di buona attitudine.
Tra gli aspetti scientifici acquisiti dal progetto
“Mirco Lupo” è l’aver individuato nell'inadeguata gestione dei sottoprodotti
di origine animale e degli scarti di lavorazione delle carni, spesso non
effettuata a norma di legge, un fattore che può favorire l’ibridazione tra cani
non gestiti e lupi. I dati GPS raccolti grazie agli ibridi e ai lupi radiocollarati,
si sono rivelati preziosi per capire come i lupi si alimentano. Spesso i cluster alimentari (raggruppamenti di
posizioni GPS nel tempo/spazio) sono di consumo e non di predazione, indicano
cioè che i lupi si stanno alimentando in punti che coincidono proprio con aree
prossime ad aziende zootecniche, dove avvengono gli incontri tra lupi e cani
vaganti.
Alla luce di ciò si comprende come la collaborazione
degli allevatori sia indispensabile per la lotta all’ibridazione.
Ad oggi i veterinari
di progetto hanno microchippato e iscritto all’anagrafe canina 345 cani da
lavoro. Venti quelli sterilizzati su richiesta degli stessi allevatori, 217
sono stati sottoposti gratuitamente a profilassi vaccinale. Un impegno che, sul
piano istituzionale, viene condiviso con un Comitato Consultivo, del quale fanno parte Ente Parco, ASL,
Carabinieri Forestali per l’ambiente, Amministratori di Comuni, Province e
Regioni, associazioni di categoria e animaliste,
ed un Tavolo Tecnico Regionale. E proprio
dall’ultima riunione del Comitato Consultivo (presenti oltre all’Ente Parco, Carabinieri
Forestali, Comune dell’Aquila, Istituto Zooprofilattico G. Caporale Teramo,
Associazione Nazionale per la
Difesa del Cane) è scaturita la richiesta di una maggiore
incisività in termini di comunicazione e informazione al territorio, soprattutto
in vista di quel breve periodo, tra gennaio e febbraio, che coincide con il
calore delle femmine di lupo, riaffermando così l’importanza di un impegno
congiunto, di Parco ed allevatori, per evitare le occasioni di affiliazione tra
lupi e cani, in modo da contenere il livello di ibridazione dei nostri lupi
appenninici.
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