Atri e il Belvedere di Mimì



A ventisei anni dalla sua prematura scomparsa, era il 26 febbraio 1992, tantissime sono le testimonianze di affetto e di stima che rimbalzano in questi giorni fra i ricordi di chi ne apprezzò le qualità umane e politiche e chi, attraverso i social, amplifica la memoria orale  esprimendo manifestazioni di sincero apprezzamento. Non accade spesso di meritare riconoscimenti post  mortem in questa società che non concede tempo alla socializzazione e all'approfondimento delle relazioni interpersonali. Eppure qualcosa di significativo rimane nell’immaginario comune per ciò che  Domenico Martella, meglio noto come Mimì Ciacarest, ha trasmesso a beneficio della sua comunità. Chi si reca ad Atri per lavoro o per soggiornarvi  s' intrattiene con gran piacere a rimirare la vallata del Vomano in tutta la sua estensione, dal Gran Sasso al Mare di Roseto e Pineto. Sto parlando del Belvedere, quel camminamento distensivo e ordinato che ne consente tale beata fruizione, in perfetta armonia ambientale con la monumentalità della Regina delle colline. Sui cartelli di benvenuto Atri si preannuncia come città d'arte e di storia millenaria. Fino agli anni ottanta, prima che iniziassero i lavori di bonifica, quel luogo era identificato dalla fantasia popolare in stretto dialetto atriano come  li rip’ per indicare le rupi scoscese su cui s’arrampicavano rovi giganteschi che nascondevano depositi di umana quotidianità, negando ad un tempo  la bellezza del meraviglioso paesaggio sopra ricordato. Non era certamente un bel vedere quel lunghissimo tratto di circonvallazione urbana che dall'antica fabbrica di liquirizia De Rosa risaliva sino alla Rocca di Capo d' Atri privo di segnaletica e scarsamente illuminato di notte. Nessuno dei residenti del quartiere di San Domenico  o di Largo San Nicola avrebbe potuto mai immaginare di affacciarsi un giorno in una balconata attrezzata e accogliente sulla rigogliosa natura circostante. Un affaccio sopra le campagne e le contrade del Cagno o di Piantara, battute giorno e notte dal giovane Ciacarest  a difesa delle rivendicazioni mezzadrili e a far proseliti con la dottrina comunista per una società più giusta e democratica. Nei primi decenni del dopoguerra Mimì era il loro punto di riferimento. Poi avvenne lo strappo dal Partito Comunista, il suo amato partito, che lasciò per aderire al Partito Socialista sotto la guida di Giuseppe Lettieri, Rodolfo Quarchioni, Egidio Marinaro, rivestendo ruoli di primo piano  a livello amministrativo e istituzionale  negli anni in cui Emilio Mattucci era una dei massimi esponenti della Democrazia Cristiana in Abruzzo. Non è certamente questa la sede per azzardare frettolose e incomplete valutazioni sul suo operato. Indubbiamente Ciacarest ha marcato una presenza significativa nel dibattito politico provinciale di quel tempo, ormai affidato agli archivi della storia locale. Pur tuttavia  Il Belvedere  rappresenta l'espressione migliore e concreta del suo impegno per lo sviluppo e il decoro della città. Impreziosito com’è oggi dalla presenza silente di singolari sculture in pietra che si  integrano perfettamente con i colori e  le sfumature di un impareggiabile panorama tra la pianura del Vomano e gli Appennini. Raccolgo dunque con sincera convinzione le sollecitazioni garbate di amici e di larghi strati di opinione pubblica di vario orientamento politico che rivolgono all’Amministrazione comunale di Atri l’invito ad inserire fra le priorità dell’agenda politica  l’intitolazione del Belvedere a chi, come Domenico Martella, ebbe la felice intuizione di trasformare quel sito in un bene comune di importante valore sociale e di efficace attrazione turistica.  Sarebbe un doveroso omaggio alla cittadinanza e, soprattutto, un segno di vicinanza ai familiari che con discrezione e sacrifici non hanno mai smesso di onorarne la memoria.

Pubblicato a mia firma anche sul quotidiano La Città del 27 febbraio 2018





Domenico Martella "Ciacarest"


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