L'Acqua del Gran Sasso e la cantilena delle aree protette

Tutte le mattine bevo l'acqua che esce dal rubinetto. Da quando sono nato mi hanno elogiato questo elemento naturale fresco, limpido, vitale alimento che richiama a noi nativi l'amore per la montagna. E che montagna il Gran Sasso che si lascia attraversare dal 19 agosto del 1573, quando Francesco De Marchi sale la vetta occidentale del Corno Grande: la cima più alta dell'Appennino. In altre successive esplorazioni l'esperto di ingegneria militare si sposta alle pendici del monte e ne rivela fantastiche scoperte fino alla grotta Amare, uno dei punti più suggestivi dell'intero massiccio del Gran Sasso e delle sue falde acquifere di cui annota: " L'acqua di questi due laghi non se gli può soffrire le mani dentro la sua freddezza. Gli mettemmo di fiaschi di legno pieni di vino e in un credo diventarono freddissimi in modo che il vino perdè il sapore. A' questi laghi io scrissi il mio nome e gli feci una gran' croce in la pietra con un piccone" Una storia indubbiamente affascinante che al tempo stesso ci onora e ci rende importanti agli occhi del mondo. Oggi, agli occhi del mondo, purtroppo,  mostriamo un'immagine negativa con un'altra  storia piuttosto complicata. Una storia sbagliata quella che si attorciglia in questi giorni  intorno all'acquifero del Gran Sasso d'Italia per le captazioni dell'acqua potabile. Dopo l'improvviso stop e l'immediata riapertura dell'erogazione del bene di primaria importanza per l'esistenza dell'uomo saltano fuori particolari incredibili e poco rassicuranti sulle analisi che si accavallano e sui monitoraggi effettuati ad intermittenza dal lunedì al venerdì. Come dire: tutto può succedere fra sabato e domenica ma nessuno se ne accorge.
Ciò non è altro che il risultato del recente dibattito promosso dall'Osservatorio provinciale dell'acqua sotto le sigle delle associazioni ambientaliste che hanno visto coinvolte le strutture preposte alle analisi come Arta, Asl e l'Acquedotto Ruzzo reti SpA. Sembrava una specie di dialogo fra sordi con l'aggravante che nessuno degli interlocutori presenti in veste scientifica ha saputo rispondere adeguatamente alla folta platea accorsa presso la Sala Polifunzionale della Provincia di Teramo. Non starò qui a calcolare il tasso di fiducia dei cittadini nei confronti di chi li rappresenta negli enti di gestione dei servizi primari dal momento che il Presidente del Ruzzo, in ogni circostanza pubblica, non nasconde imbarazzo e rammarico di quanto è accaduto quel fatidico 9 maggio 2017. Mi preme invece porre in risalto il pressapochismo politico e istituzionale di come le cose accadano senza alcuna ipotesi di programmazione o di prevenzione generando ingenti danni economici e sociali che ricadono sostanzialmente sulle spalle della collettività. Infatti, nella discussione che ne è seguita sotto il profilo politico, si sono apprese due notizie finora sconosciute ai più. La prima riguarda la non conoscenza dell'entità dei lavori di messa in sicurezza del traforo del Gran Sasso in cui sono situati i laboratori di fisica nucleare, la seconda, a quanto si è appreso in quell'occasione, che il governo dell'epoca o il Provveditorato alle opere pubbliche o chissà quale altro organismo, avrebbe trasferito all'Istituto di Fisica Nucleare il progetto e la gestione dello stesso. Nell'un caso e nell'altro, a distanza di circa un decennio, non è dato sapere altro di come siano andate le cose  per cui ora ci si affanna a costituire i soliti "tavoli della conoscenza". A questo punto non resta che attendere il secondo round dell'Osservatorio che ha preannunciato un ravvicinato incontro con i vertici dei laboratori, della società autostradale e delle rappresentanze politiche regionali da cui pretendere decisive risposte alle angoscianti domande di una comunità sull'orlo di una crisi di nervi e di orientamento. Difficile pensare che la scienza dei neutrini frantumi l'animo umano e tutta la filosofia dello sviluppo sostenibile!



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