L'ACQUA del Gran Sasso e le verità nascoste

Quel pomeriggio dell'otto maggio del duemiladiciassette resterà impresso nella memoria di tutti come la data dell'esasperazione popolare e del pressapochismo gestionale del bene acqua. Alle cinque della sera, viene annunciato che l'acqua limpida del Gran Sasso d'Italia, bevuta da una gran quantità di popolazioni montane e rivierasche è pericolosamente inquinata. Quando i negozi e i centri commerciali vengono presi letteralmente d'assalto dalle persone in preda al panico irrefrenabile fino all'ultima bottiglia di acqua minerale disponibile, tutti pensano che il danno sia stato causato ancora una volta dagli esperimenti dell'Istituto di Fisica Nucleare con qualche sversamento di sostanze nocive (Borexino) nelle contigue aree di captazione dell'acquedotto del Ruzzo. Come ormai accade sovente: tutti sono responsabili, nessuno è responsabile. "Abbiamo semplicemente attivato la procedura che la prassi prescrive in casi del genere", dicono i tecnici addetti al monitoraggio costante per assicurare la salubrità delle acque in questione. Poi la rivelazione. Di lì a poco si saprà che  i lavori di manutenzione autostradale nelle gallerie di accesso ai laboratori del Gran Sasso avrebbero determinato l'allarme di chiusura dell'erogazione dell'acqua contenente sostanze inquinanti scaricate nell'ambiente circostante dalle maestranze dei suddetti lavori. Il giorno dopo la bufera tutto tornava "normale" . Nel senso che le analisi confermavano la potabilità dell'acqua come se non fosse successo nulla. Altro che smarrimento generale! Tutto a posto ma, aggiungiamo noi,...niente è più in ordine nel ventre della montagna più alta e maestosa della catena appenninica. Diciamo le cose come stanno. Più che rispetto per la natura occorre sottolineare il lassismo imperante verso il bene comune ancor più evidente in aree protette particolarmente sensibili. Alla faccia della mobilità sostenibile e della ricerca scientifica avanzata nella Regione Verde d'Europa. Un appellativo che fa "acqua" da tutte le parti, ormai. Oggi più di ieri, è pericolosamente in bilico il rapporto di fiducia fra i contribuenti e chi ha la responsabilità del pubblico servizio. E l'acqua è il bene primario della convivenza civile come dimostrano le tante battaglie condotte in difesa del modello pubblico di gestione contro ogni ingerenza di colonizzazione affaristica. Eppure, il sogno collettivo di ritenersi "custodi tenaci della biodiversità" nel cuore di un parco nazionale, rischia di frantumarsi drammaticamente a danno delle future generazioni. Cosa aspettano gli scienziati, i grandi gestori della viabilità e dei pubblici servizi, i governatori politici e gli enti di vigilanza a valutare insieme, senza artifici, l'indice di  coabitazione possibile fra l'ambiente incontaminato del Gran Sasso e le varie attività in essere a suo tempo definite importanti e decisive per l'immagine dell'Abruzzo? Cosa rimane dei buoni propositi di sviluppo e di sicurezza tanto decantati?  Chissà se si troveranno risposte immediate in tal senso. Ci vorrebbe maggior rispetto delle regole, soprattutto, rispetto delle leggi in una materia tanto delicata come il diritto alla salute. Ma poi esiste anche il lato etico e morale che chiama in causa il rispetto verso i giovani sensibili alla difesa della natura, alla bellezza dei boschi, delle montagne e delle coste in una società complessa che mostra da un lato i limiti della crescita e l'incubo della morte ecologica e dall'altro il proliferare di tante invasioni barbariche che offuscano la bellezza dei luoghi e impediscono al cuore di emozionarsi.



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